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“I posti nelle case per donne maltrattate non restano mai liberi più di qualche giorno”: l’allarme di Ebano

La presidente dell’associazione Ebano, Michelangela Barba, intervistata da Fanpage.it, racconta come gestisce tutte le donne in difficoltà che incontra: “Offriamo circa 100 posti letto per donne, madri e figli a carico”.
A cura di Matilde Peretto
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Immagine di repertorio
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L'Associazione Ebano è un'organizzazione no profit che si occupa di dare sostegno a tutte le donne che si trovano in difficoltà, figli inclusi. È nata nel 2012 e si occupa di accoglienza e aiuto psicologico a donne e madri, dando loro un posto in cui stare e servizi a cui rivolgersi. Attiva sul territorio italiano ed Est Europeo, solo nella provincia di Milano, possiede 19 appartamenti di accoglienza per un totale di circa 100 posti destinati a donne e minori in situazioni di grave vulnerabilità. "Noi accogliamo, senza oneri per lo Stato, persone in situazioni che non posso essere prese in carico dai servizi sociali", ha raccontato a Fanpage.it la presidente di Ebano Michelangela Barba, aggiungendo che ci sono talmente tante donne in difficoltà che "i nostri posti non rimangono mai liberi più di qualche giorno".

Michelangela Barba, presidente di Ebano onlus
Michelangela Barba, presidente di Ebano onlus

Qual è la situazione a Milano, ovvero quanto donne vengono “recuperate” in media all’anno e quali sono le condizioni più frequenti?

Quale sia il tipo di "emergenza" numericamente più estesa a Milano dipende dai periodi e dagli eventi: per esempio in epoca Covid abbiamo dato molte disponibilità per misure alternative perché mancavano i posti per donne, nel 2023 abbiamo accolto con il progetto Ucraina le profughe e i loro bambini che avevano terminato il periodo di accoglienza nelle strutture di emergenza previste dallo Stato.

Questo 2024 si è aperto con una quantità infinita di richieste da parte degli stessi servizi sociali del Comune di Milano che non riescono, con i loro strumenti e con le loro possibilità, a far fronte a tutti i casi di emergenze abitative che si trovavano ad affrontare, soprattutto di emergenze legate ai minori. Dall'inizio dell'anno abbiamo già accolto 5 nuclei (di cui 4 erano madri sole) con 14 minori al seguito e abbiamo una lista d'attesa pressoché infinita.

Quali sono le zone più a rischio di Milano e della Lombardia?

Io non parlerei tanto di "rischio" quanto di concentrazione di criticità. Attualmente abbiamo tre presidi territoriali: a Corvetto, in Gratosoglio e in Piazza Prealpi. Per anni abbiamo lavorato anche nella zona nord di Milano, in particolare Bovisasca/Niguarda. Posso dire che ci sono interi quartieri che vivono in maniera assolutamente drammatica la somma di una più difficoltà sociali che sono da un lato le note carenze di mezzi a disposizione del sistema dei servizi (come il sistema sanitario o quello scolastico), e dall'altro tutte le problematiche legate all'appartenenza della categorie svantaggiate.

Qualche storia che le è rimasta impressa?

Mi viene in mente quella di una mamma seguita dai nostri sportelli sul territorio che era sola, non aveva un'alta professionalità, senza lavoro e con un figlio disabile. Non poteva cercare un'occupazione o provare a formarsi con le opportunità presenti sul territorio per ambire a una posizione più alta o per riprendere a lavorare perché mancavano gli insegnanti di sostegno quindi suo figlio non riusciva ad andare alla scuola dell'infanzia con regolarità. Come può uscire questa mamma dalla sua emergenza?

Un'altra storia era quella di una donna di mezza età in grave difficoltà perché non riusciva più a convivere il marito invalido che lei assisteva da anni. Di recente, però, aveva sviluppato un decadimento cognitivo che lo rendeva ingestibile e aggressivo. Per chiedere l'inserimento in Rsa occorreva la valutazione cognitiva, per la quale era stato dato appuntamento dopo otto mesi.

Sono tutte persone di estrazione molto umile che non possono permettersi aiuti extra, non hanno familiari vicini. Restano ad aspettare nel loro inferno quotidiano. E l'elenco potrebbe essere infinito. È chiaro che in contesti così difficili, dove la vita è così dura per tutti (o quasi) è molto più facile che le situazioni degenerino e si possa arrivare alle "tragedie annunciate" che poi leggiamo sui giornali.

Come funziona il percorso di recupero?

Dipende molto dal motivo che ha portato all'accoglienza: se è una fuga da una situazione di violenza e sfruttamento, se è una misura alternativa al carcere, se è un'accoglienza richiesta dai servizi di psichiatria o se è una semplice accoglienza per emergenza abitativa. Il primo passo in ogni caso è conoscersi, capire quali sono i passi da fare con i servizi di riferimento (se ci sono), le scuole dei bambini, i medici e via dicendo.

Abbiamo una psicologa volontaria che è disponibile per colloqui, anche se spesso i problemi pratici sono così tanti che la voglia di ragionare su quello che è successo è poca, anche se fondamentale. Proprio per questo cerchiamo sempre di proporre strumenti di rielaborazione.

Quanti volontari siete? E le 20 case autogestite che possedete a chi appartengono?

Siamo troppo pochi volontari! Anzi, se qualcuno è interessato può scriverci dai nostri profili social. La nostra ventesima casa è sul territorio di Potenza ed è in affitto da privati. Le altre 19 sono a Milano e ci sono state assegnate da Aler tramite un bando con un canone calmierato. Avremmo anche la possibilità di aprire un'accoglienza a Binago, in provincia di Como, ma ci serve uno sponsor perché i lavori da fare sono tanti.

Cosa significa gestire un’organizzazione del genere completamente autogestita e che si occupa di tematiche così delicate?

Significa avere le giornate da 96 ore zippate in 24, l'esaurimento nervoso perenne, un mare di guai intorno, ma anche la consapevolezza di svolgere un ruolo determinante: senza di noi le persone che accogliamo (ripeto: 100 contemporaneamente) sarebbero letteralmente in mezzo a una strada. Noi arriviamo dove i servizi istituzionali non possono arrivare.

Siete stata la prima organizzazione ad arrivare in Ucraina dopo lo scoppio della guerra per aiutare le donne e per fare in modo che non venissero adescate da malintenzionati: cosa ricorda di quell’esperienza?

Sì, se devo essere sincera mi ricordo la grande rabbia che ho provato. Ricordo l'entusiasmo sui siti di "clienti di prostituzione" che esultavano per le donne ucraine in fuga dalla guerra auspicando che fossero il più disperate possibile quindi disposte a prostituirsi e a farlo a prezzi stracciati. Superata la prima ondata di vomito (indignazione non è abbastanza) mi sono resa subito conto che se c'era una richiesta così forte ci sarebbe di sicuro stato chi si sarebbe attivato per soddisfarla. Per cui ho subito preso contatti con i nostri riferimenti sul confine e con le autorità romene per creare, tradurre e stampare volantini di avvertimento per le donne e le ragazze in arrivo: non fidarsi di nessuno, rivolgersi solo ai canali istituzionali. Credo che sia stata una delle cose più tristi che ho dovuto fare in vita mia.

Per aiutare le donne palestinesi, invece, avete qualche progetto? 

Non abbiamo mai fatto nulla fuori dal continente europeo, la nostra attività è in Italia e nell'Europa dell'Est. C'è però un progetto che sta nascendo e che mi sta molto a cuore. Siamo stati contattati da un'associazione di mamme dei piccoli ricoverati nell'ospedale pediatrico oncologico di Minsk. La Bielorussia, a causa della presa di posizione politica dei suoi vertici, è sottoposta ad embargo e mancano molte cose, ad esempio i farmaci. Ma quando abbiamo parlato in videochiamata e ho chiesto a queste mamme cosa serviva con più urgenza mi hanno risposto: "Omogeneizzati, cibo. I nostri bambini sono ammalati e non possono saltare i pasti come tutti gli altri".

Dopo avere sentito tutto ciò, sono svanite le belle considerazioni razionali sul valutare in modo ponderato l'impegno di un altro progetto. So che troveremo il modo di aiutarli. Ancora non so come né con quali risorse. Ma qualcosa di buono sicuramente lo riusciremo a fare.

Altri progetti in Italia, invece, ne avete? 

In Campania siamo presenti al fianco dell'associazione "Un'infanzia da vivere" a Parco verde di Caivano (provincia di Napoli), tristemente noto per i fatti di cronaca, ma dove ci sono anche tantissime forze vitali e persone che hanno fatto dell'impegno per il quartiere la loro ragione di vita, come Bruno Mazza. Li stiamo aiutando a creare una biblioteca per l'infanzia perché "La violenza si combatte con la conoscenza".

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