I pm dell’inchiesta di Bergamo: “Conte e Fontana sapevano di dover fare la zona rossa, era già tutto pronto”
Attilio Fontana e Giuseppe Conte avevano "piena consapevolezza della circostanza": ospedali al collasso, terapie intensive sotto stress, il contagio impazzito.
Sapevano insomma che, tra fine febbraio e inizio marzo del 2020, nella Bergamasca "l'indicatore R0 aveva raggiunto valore pari a 2, e che nelle zone ad alta incidenza del contagio gli ospedali erano già in grave difficoltà". E sapevano dunque che anche in quest'area fosse più che mai necessaria l'istituzione della zona rossa, già sperimentata nel Lodigiano e nel comune veneto di Vo' Euganeo.
Al punto che il provvedimento tanto atteso era già pronto, ma non è mai stato reso operativo: in fondo alla bozza, infatti, c'è la firma del ministro della Salute Roberto Speranza ma non quella del premier Giuseppe Conte. Così la mancata zona rossa nella Val Seriana a partire dal 27 febbraio 2020, oggi sotto la lente dell'inchiesta condotta dalla Procura di Bergamo sulla gestione della prima ondata pandemica, è sempre rimasta sulla carta.
Una bozza di provvedimento ritrovata dagli investigatori della Procura di Bergamo soltanto un anno dopo, nel gennaio del 2021 – e che testimonia come il governo, nella prima settimana di marzo, fu davvero a un passo dall’istituzione della zona rossa anche nei Comuni della Val Seriana, martoriata da un focolaio Covid che per mesi ha messo a ferro e fuoco gli ospedali e gli abitanti dell'area.
Ma niente da fare: per la Bergamasca, quella decisione non arriverà mai. Solamente divieti generali per la Lombardia, e poi il lockdown nazionale dal 9 marzo 2020.
L'inchiesta sulla gestione del Covid nella Bergamasca
Un errore costato più di 4mila vite, secondo i pm di Bergamo. Che adesso, dopo tre anni di indagini, accusano tra gli altri (in tutto 19) l'ex premier Giuseppe Conte, l'ex ministro Roberto Speranza, il presidente della Lombardia (neo riconfermato) Attilio Fontana, l'ex assessore del Welfare lombardo Giulio Gallera. Con loro anche Silvio Brusaferro, direttore dell'Istituto Superiore di Sanità, e l'ex capo della Protezione Civile Angelo Borrelli. Le accuse contestate a vario titolo sono quelle di epidemia colposa aggravata, omicidio colposo plurimo, rifiuto d'atti d'ufficio.
"Fontana non segnalò alcuna criticità a Nembro e Alzano"
E se il piano Covid, stando alle carte dell'inchiesta, già prospettava "lo scenario più catastrofico per l'impatto sul sistema sanitario e sulle terapie intensive", Attilio Fontana, con due "distinte mail del 27 e del 28 febbraio", chiese al premier Giuseppe Conte "il sostanziale mantenimento delle misure di contenimento già vigenti in Lombardia, non segnalando alcuna criticità relativa alla diffusione del contagio nei comuni della Val Seriana", e in particolare nei comuni di Nembro e Alzano.
I due, insomma, "nonostante avessero a disposizione tutti i dati per stabilire che in Lombardia si sarebbe raggiunto il numero di mille casi dopo solo 7 giorni dall'accertamento del primo caso", e che quindi fosse necessario "estendere tempestivamente anche ad altre zone le misure di distanziamento sociale della zona rossa", hanno temporeggiato e "cagionato così la diffusione dell'epidemia in Val Seriana, con l'aggravante di aver cagionato la morte di più persone".