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Padre uccide i due figli piccoli e si suicida

I padri che uccidono i figli per far soffrire le loro madri, e poi si suicidano per condannarle a vita

Chi sono i padri che uccidono i propri figli, come avvenuto a Mesenzana? Uomini che percepiscono minacciata la propria mascolinità, uccidono i figli per affermare nuovamente il loro potere e condannare la madre al più terribile degli ergastoli. E poi si tolgono la vita perché hanno raggiunto il loro intento: far soffrire la loro madre.
A cura di Anna Vagli
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Questa mattina Mesenzana si è svegliata con un’orribile sentenza: quella di un padre che, prima di uccidersi, ha riversato la propria rabbia in un ultimo e senza appelli tuono finale. E lo ha fatto privando della vita i suoi due figli, una bambina di 13 anni e un bambino di 7. Lo ricorderete, la tragedia familiare che ha inaugurato lo scellerato filone dei padri sterminatori di questo 2022 è stata quella di Davide Paitoni che, lo scorso  gennaio, aveva ucciso il figlio di 7 anni e lo aveva nascosto nell’armadio. Oggi torniamo insieme ad analizzare il fenomeno dei padri assassini, ma questa volta da un’altra prospettiva. Difatti, quanto accaduto questa mattina in provincia di Varese, si è concluso con il suicidio dell’uomo, un copione tragicamente simile a quanto avvenuto nel 2020 sempre in Lombardia a Margno, in Valsassina.

Chi sono i padri che uccidono?

Sono uomini con una fragile consapevolezza di sé stessi, avversi all'insuccesso e alla mortificazione. La dinamica che riguarda l’uccisione dei figli da parte di padri è sempre più o meno la stessa. Si tratta di uomini che percepiscono come inaccettabile la rottura del nucleo familiare. Il fenomeno è trasversale perché riguarda padri di qualsiasi estrazione e ceto sociale: professori, dottori e camionisti. Ma sono tutti soggetti legati da un minimo comune denominatore: percepiscono minacciata la propria mascolinità. Non tollerano il disgregamento della famiglia perché quest’ultima è l’unico riferimento nel mondo che gli consente di sentirsi uomini di successo. Quindi uccidono i figli per affermare nuovamente il loro potere e condannare la madre al più terribile degli ergastoli. Sono padri che, spesso, come nel caso di specie, si tolgono la vita perché hanno raggiunto il loro intento: far soffrire la loro madre. E la ragione dell’estremo gesto risiede proprio in questo: non dare all’ex partner neppure la possibilità di conoscere le scellerate motivazioni che li hanno indotti a privare la vita al sangue del loro stesso sangue. Vale a dire coloro i quali sono i più indifesi e più esposti: i loro figli.

Un ergastolo senza appelli che porta via con sé tutti quegli interrogativi destinati a rimanere senza risposta per lei che resta. Una sorta di sindrome di Medea che camaleonticamente cambia pelle e traghetta dalla donna all’uomo. Uomini fragili, colmi di rabbia. Ancora una volta la casa, che dovrebbe essere contenitori di affetti, si trasforma in una scena del crimine. Non vi sembra la didascalia di quanto accaduto a Mesenzana, in provincia di Varese? Il duplice omicidio di questa mattina conferma la casistica anche per quel che attiene le armi utilizzate da questi padri sterminatori: un’arma da punta e da taglio utilizzata probabilmente quando i due bambini dormivano serenamente.

Ennesima strage familiare che poteva essere evitata?

Quel che appare certezza è che, in queste tragedie, un inasprimento delle sanzioni non servirebbe ad arginare il fenomeno né potrebbe considerarsi risolutorio. E non lo sarebbe perché i padri assassini, dopo aver rivendicato l’onore, si suicidano.  Lo fanno dimostrando di non nutrire alcun interesse nei confronti delle pene previste e neppure in considerazione delle conseguenze legali delle loro azioni. Non attribuiscono valore alle leggi e ai loro rappresentanti, ma rispondono al solo impulso di punire quella che è stata la loro compagna di vita. Colpevole, ai loro occhi, di aver autonomamente deciso di lasciarli.

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Dottoressa Anna Vagli, giurista, criminologa forense, giornalista- pubblicista, esperta in psicologia investigativa, sopralluogo tecnico sulla scena del crimine e criminal profiling. Certificata come esperta in neuroscienze applicate presso l’Harvard University. Direttore scientifico master in criminologia in partnership con Studio Cataldi e Formazione Giuridica
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