I numeri devastanti della prima ondata Covid in Lombardia: 4 su 5 in rianimazione non erano anziani
Tra il 14 marzo e il 25 aprile 2020, nel pieno della prima ondata della pandemia da Coronavirus nei reparti dedicati al Covid-19 di tutti gli ospedali lombardi erano ricoverati per questo virus 13.840 pazienti anziani, cioè con un’età superiore ai 70 anni. Erano però circa la metà dei 29 mila ricoverati. Se però invece si analizzano i dati delle terapie intensive della stessa fascia d'età erano appena 548 su 2.457, quindi circa uno su cinque. Questo è il quadro delle scelte obbligate dei medici che, con i reparti al collasso, hanno dovuto decidere chi salvare e chi no, privilegiando chi aveva più possibilità di sopravvivere. Le analisi sono inserite in uno studio riportato dal Corriere della Sera, realizzato dai medici di riferimento per gli ospedali lombardi, in collaborazione con la Fondazione "Bruno Kessler", la Regione, l’università Bocconi e i ricercatori degli atenei statunitensi dell'Indiana e di Boston.
Le conseguenze della medicina di guerra: sacrificati anziani e malati
Lo studio quindi evidenzia quali siano state le conseguenze della cosiddetta "medicina di guerra", che ha dovuto decidere chi doveva ricevere priorità nelle cure in rianimazione perché aveva più probabilità di sopravvivere. Purtroppo non si trattava solo degli anziani: "Proprio come per i pazienti più anziani — si legge nel report — durante la fase di maggiore pressione i pazienti con altre patologie hanno avuto una riduzione molto più alta rispetto agli altri della probabilità di essere ammessi a una terapia intensiva". Lo studio in questione è l’analisi più completa su quanto accaduto in Lombardia durante la prima ondata perché contiene i dati di tutti i 43.538 pazienti Covid in quei mesi.