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Opinioni

I migranti annegati nei laghi italiani per salvarsi dal caldo sono un altro pezzo della nostra vergogna

Due migranti sono morti nei laghi in Lombardia nel tentativo di rinfrescarsi dal caldo torrido di questi giorni. La loro morte, dopo essere sopravvissuti alla traversata nel Mediterraneo, è un’altra vergogna che pesa sulla gestione dell’immigrazione in Italia.
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Partire a soli 18 anni dal Gambia, attraversare il Senegal, la Mauritania o il Mali, poi l’Algeria per raggiungere la Tunisia o, più probabilmente la Libia. Lì imbarcarsi su un qualche barcone, di quelli che non si sa se arrivano o naufragano. Ma la disperazione è tale che vale la pena provare. Affrontare il Mediterraneo, batterlo, superando anche le criminali leggi italiane che contrastano a ogni costo (anche quello della vita) l’immigrazione dopo averla resa clandestina. Arrivare a Lampedusa, superare la trafila burocratica per richiedenti asilo che gestisce le persone come cose o come animali da macello. Arrivare finalmente in un posto, che però non sarà quello definitivo. È solo una struttura in attesa che qualcuno capisca cosa farne di te. Arrivarci quando fa caldo, un caldo torrido che si fa fatica a sopportare: è l’estate più calda per l’Europa o, meglio, la più fresca di tutte le prossime. E l’Italia è il Paese più esposto ai cambiamenti climatici. Essere costretti a sopravvivere, ancora una volta, in condizioni che sfiorano il disumano: le strutture per migranti italiane non sono i lager libici, ma le loro condizioni non sono certo dignitose. E il caldo, quando si vive così, si fa ancora più torrido. Cercare un minimo di refrigerio nell'acqua: laghi, fiumi e perfino quelle cave che sono poco più che pozzanghere. E lì morirci. Una tragedia banale, perfino stupida, dopo quella, scampata, del viaggio in mare.

Questo è quello che è capitato ieri, 19 luglio, a Bubacarr Darboe, un ragazzo di 18 anni. È morto nel lago di Como, dopo essere arrivato soltanto il giorno prima a Lecco da Lampedusa, dove era sbarcato con un barcone. Il giorno prima è stata la volta di Luis Alberto Ochoa Duenas, di appena 19 anni, arrivato a Milano da tre mesi. Lo scorso 11 luglio è stato per ora in coda fuori alla mensa dell’Opera San Francesco per accaparrarsi un pasto, sotto il sole cocente, con l’afa che sale d’asfalto e quella sensazione di avere un phon acceso addosso. Poi con lo zio, senza fissa dimora, ha cercato refrigerio in una della cave da cui sgorga un po’ d’acqua in parco milanese. E anche lui è morto annegato. Ma questi sono solamente gli ultimi casi di una tragedia che si ripete ogni anni e sempre più di frequente con l’innalzarsi delle temperature.

Il motivo lo aveva spiegato, già nel 2019, il direttore della sezione provinciale di Bergamo della Società Nazionale di Salvamento, Roberto Zanotti, a BergamoNews. "Molti stranieri – aveva raccontato – non hanno mai visto un fiume, un lago e il mare, o almeno non ci hanno mai messo piede perché nel loro Paese di provenienza non esistono, quindi non hanno idea di dover nuotare per non annegare". Questo, ovviamente, prima di affrontare la traversata della speranza sui barconi. "Oltre a queste motivazioni di natura geografica – prosegue Zanotti – ci sono ragioni culturali ed economiche, perché magari non sono abituati a vivere gli ambienti acquatici o non possono permettersi di frequentare corsi di nuoto". Già quattro anni fa il direttore della Società Nazionale di Salvamento diceva che "bisognerebbe insegnare non tanto il nuoto in senso agonistico (che possono approfondire successivamente) ma quelle abilità che consentono di garantirsi la sopravvivenza in acqua". Ma in un Paese in cui si fa di tutto per lasciare i migranti in mare, di sicuro non si farà nulla per salvarli dai fiumi e dai laghi. E il risultato è che chi non muore prima di arrivare, annega dopo.

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Giornalista dal 2012, attualmente sono capo area Milano a Fanpage.it. Già direttore responsabile di Notizie.it, lavoro nell'editoria digitale dal 2009. Docente e coordinatore dell'Executive Master in Digital Journalism dell'Università Umanitaria. Autore di tre libri inchiesta sulla criminalità organizzata. Nel 2019 ho vinto il "Premio Europeo di Giornalismo Giudiziario e Investigativo".
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