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backstair / Shalom, la comunità degli orrori

“I suoi metodi sono noti da decenni, è un mistero perché operi ancora”: Cnca su Shalom e sull’inchiesta di Fanpage.it

“Soprusi e privazioni non hanno nulla di terapeutico”. È il parere delle comunità di recupero su Shalom dopo l’inchiesta di Fanpage.it. “Da tempo gli esperti della zona dipingono scene terribili sulla comunità Shalom. Come abbia potuto continuare la propria attività sfuggendo ai controlli è davvero un mistero”.
A cura di Francesca Del Boca
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"Ho visto il servizio sulla comunità Shalom. Succede quando figure carismatiche, ammantate di presunta santità, dietro l'accoglienza delle persone massacrano in realtà i fragili dal punto di vista fisico e psicologico". Sono le parole del presidente del CNCA-Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza Paolo Cattaneo sull'ultima inchiesta del team Backstair di Fanpage.it, che racconta dall'interno la comunità terapeutica Shalom e testimonia il metodo adoperato dalla responsabile Suor Rosalina Ravasio.

"L'ennesima prova che c'è bisogno di un sistema che metta al centro i diritti delle persone, la loro necessità di cura e di accompagnamento. Mi sento in colpa per non aver contribuito a far emergere prima questa situazione, ormai nota da decenni", il suo commento a Fanpage.it.

"Da tempo gli esperti della zona dipingevano scene terribili sulla comunità Shalom. Come abbia potuto continuare la propria attività di accoglienza, sfuggendo ai controlli nonostante cause legali e denunce, è davvero un mistero".

Gli episodi dell’inchiesta
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Le comunità di recupero su Shalom

Un mistero che fa emergere parecchie domande. "Come mai questo tipo di struttura non ha mai ricevuto controlli di nessun tipo da parte di polizia, Ats, Regione Lombardia?". E altrettante risposte scomode. "Troppo spesso, quando la comunità ruota intorno a una figura carismatica, non viene messa in discussione la presunta santità di quest'ultima. Una figura che ricorda quella di Vincenzo Muccioli, a San Patrignano".

"Soprusi e privazioni non hanno nulla di terapeutico”, gli fa eco un comunicato della Cnca lombarda. "Ancora una volta ribadiamo con forza che anche nella cura delle dipendenze il fine non giustifica i mezzi, ancor più quando i mezzi ledono i diritti basilari della persona e sono addirittura di tipo coercitivo e violento".

E ancora. "È necessario rifiutare l’uso della violenza, fisica e psicologica, approfittando della condizione di fragilità delle persone che affidano speranzose la propria vita alle comunità".

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"La comunità va chiusa": il parere degli esperti su Shalom

Lo stesso parere dei tantissimi esperti del settore, che dopo la messa in onda del servizio sul programma di La7 Piazzapulita si sono espressi sulla comunità bresciana Shalom e sui metodi adoperati sui circa 250 ospiti della struttura.

"Fuori dalla modernità, dall’attualità, assolutamente ingiustificabile dal punto di vista professionale, operativo, e del tutto inefficace”, il commento generalizzato.

Una comunità con 300 persone non è una comunità”, ha affermato tra gli altri lo psichiatra Tommaso Losavio, medico psichiatra, collaboratore di Franco Basaglia e protagonista della stagione che portò alla chiusura definitiva dei manicomi. “In una comunità, il numero massimo è di 20-25 persone".

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Ammesso che la religione sia una regola, non deve diventare una coercizione. La preghiera può aiutare qualcuno a migliorare uno stato d’animo e questo rende la persona più suscettibile, ma non può rappresentare un elemento di terapia fondamentale come nel caso della tossicodipendenza”, ha spiegato ad esempio il tossicologo Claudio Leonardi, direttore del dipartimento tutela delle fragilità della Asl Roma 2 e presidente della Società Italiana Patologie da Dipendenza.

"I dosaggi dei farmaci di cui parlano gli ospiti di questa comunità sono abbondanti", ha concluso. "Sicuramente non sono giustificati per lunghi periodi".

E ancora, sotto la lente degli esperti, le gerarchie della comunità, il metodo "bastone e carota", le continue violenze verbali e psicologiche contro gli ospiti, le punizioni (digiuno, silenzio forzato, notti trascorse in piedi, giri estenuanti trasportando una carriola piena di sassi). La conclusione, insomma, è solo una. "La comunità di Palazzolo sull'Oglio va chiusa". 

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