I giudici annullano il risarcimento a Stefano Binda, assolto per l’omicidio di Lidia Macchi
Tutto fermo per Stefano Binda, scagionato dalle accuse di essere l’omicida della ventenne Lidia Macchi, trovata morta assassinata in un bosco della provincia di Varese nel gennaio del 1987. È stata annullata dalla Cassazione la richiesta di indennizzo per ingiusta detenzione (ben 3 anni, 6 mesi e 10 giorni trascorsi dietro le sbarre) promossa dal 55enne: ovvero un assegno da 303mila euro, circa 230 euro al giorno, riconosciuto dalla Corte per il periodo della custodia cautelare.
Bloccato il risarcimento per Stefano Binda
L'ordinanza, del resto, era già stata impugnata dalla Procura Generale di Milano e dall’Avvocatura dello Stato. Oggi la decisione della Suprema Corte, che ha rinviato il tutto alla Corte d'Appello: la sentenza, letteralmente, "annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per il nuovo giudizio alla Corte d’Appello di Milano cui rimette anche la regolamentazione delle spese tra le parti di questo giudizio di legittimità»".
"Il 15 gennaio del 2016 ero in casa mia nel mio letto quando la Squadra omicidi mi ha arrestato e portato in carcere con l'accusa di aver ucciso Lidia Macchi", raccontò il diretto interessato a Fanpage.it. Gli inquirenti, 30 anni dopo il fatto, lo individuarono come l'autore dell'assassinio della giovane di Cl, violentata e uccisa con 29 coltellate: unico indagato per il delitto, resterà in carcere dal gennaio del 2016 al luglio del 2019. "Ho passato in carcere tre anni, sei mesi e otto giorni. Sono stato in tre carceri diverse, sono stato in isolamento per i primi sei mesi". Poi, i gradi di processo e l'assoluzione definitiva per non aver commesso il fatto.
L'omicidio di Lidia Macchi ancora senza colpevoli
È il 5 gennaio del 1987 quando Lidia Macchi, studentessa di 21 anni, esce di casa per andare a trovare una sua amica ricoverata all'ospedale di Cittiglio, provincia di Varese. Da lì non farà mai più ritorno: il corpo senza vita della ragazza viene trovato due giorni dopo in un bosco vicino all'ospedale. Gli accertamenti sul cadavere diranno che Lidia è stata prima violentata e poi uccisa a coltellate.
Vengono battute tante piste dagli inquirenti, ma solo una condurrà lentamente a un vero e proprio processo: quella che individua il colpevole in Stefano Binda, amico della giovane e come lei membro di Comunione e Liberazione. Perché? Secondo l'accusa avrebbe cercato di punire Lidia per averlo indotto a trasgredire al suo ferreo principio religioso di castità.
A carico di Binda, però, ci sono solo indizi: un alibi non verificato, la perizia calligrafica e alcune testimonianze. Tra tutte manca la prova regina, ovvero il confronto del Dna dell'imputato con quello dell'assassino. Ma tutti i vetrini contenenti la traccia biologica di chi uccise Lidia sono infatti stati distrutti: non c’era più spazio nell’ufficio corpi di reato. Il 27 gennaio 2020 Stefano Binda viene definitivamente assolto dall'accusa di omicidio.