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“Ho ucciso tua madre, ora tocca a te”: l’omicida di Arese ha cercato anche di strangolare il figlio

Dopo aver ucciso la moglie ad Arese, in provincia di Milano, il 41enne arrestato ieri avrebbe anche cercato di strangolare il figlio 18enne: “Ho ucciso tua madre e ora tocca a te”, avrebbe detto l’uomo. Il ragazzo è riuscito a difendersi. Il padre, che si era poi inferto alcune lievi ferite, è adesso accusato anche di tentato omicidio.
A cura di Francesco Loiacono
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"Ho ucciso tua madre e ora tocca a te". Questa la frase agghiacciante che Jaime Moises Rodriguez Diaz, il 41enne messicano che ieri ha ucciso la moglie ad Arese, in provincia di Milano, avrebbe pronunciato all'indirizzo del figlio 18enne. Dopo aver ammazzato la moglie, trovata in un lago di sangue con una profonda ferita al capo, e prima di chiudersi in bagno, dove si sarebbe inferto alcune ferite con un coltello, l'uomo avrebbe cercato di strangolare il figlio 18enne con una cintura di nylon. Per questo motivo adesso al 41enne, da ieri recluso nel carcere di San Vittore dopo essere stato medicato e dimesso dall'ospedale di Garbagnate, oltre all'accusa di omicidio è contestata quella di tentato omicidio.

Dopo aver ucciso la moglie l'uomo ha cercato di strangolare il figlio

Tra il padre e il figlio, a quanto pare, c'erano stati spesso screzi a causa dei modi autoritari dell'uomo. Non è chiaro se anche in passato i suoi comportamenti fossero mai diventati veri e propri atti di violenza. Fatto sta che ieri mattina l'uomo ha ucciso la moglie, la 48enne Silvia Susana Villegas Guzman, nella loro casa in via Gran Paradiso ad Arese, dove la coppia si era trasferita da circa un mese dal Messico. Dopo il femminicidio l'uomo avrebbe cercato di uccidere anche il figlio primogenito, che è però riuscito a difendersi. Ieri mattina era stato poi proprio il 18enne, assieme agli altri suoi due fratelli minori, ad andare dai vicini per dare l'allarme: quando i carabinieri sono intervenuti nell'abitazione della famiglia hanno trovato la donna ormai priva di vita e il marito chiuso in bagno, con ferite che sono poi state giudicate guaribili in dieci giorni.

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