Gregorio Mammì, candidato M5S alle regionali: “La Lombardia deve invertire la rotta nella sanità”
Già Consigliere regionale del Movimento 5 Stelle e segretario della Commissione regionale Sanità, Gregorio Mammì è nella lista dei candidati alle prossime elezioni regionali per un posto da consigliere nella lista di Milano.
Come abbiamo potuto vedere negli ultimi anni, la pandemia da Covid-19 ha portato alla luce le vulnerabilità della gestione del Welfare regionale, come l'equilibrio tra pubblico e privato. Se al centro del tema devono esserci le "liste d'attesa", come ha spiegato Mammì a Fanpage.it, la Lombardia deve necessariamente invertire la rotta "sulla gestione del sistema sanitario regionale".
Quello delle liste di attesa interminabili è un problema riconosciuto da più fronti politici. C'è anche chi pensa che la sanità privata stia indebolendo sempre di più quella pubblica. Lei è attualmente segretario della Commissione regionale Sanità, cosa si può fare concretamente?
Per risolvere stabilmente il problema delle liste d’attesa è necessaria un’inversione totale di rotta sulla gestione del sistema sanitario regionale. Il tema non è eliminare il settore privato, perché se gestito bene può essere una risorsa preziosa, ma riequilibrare i rapporti senza lasciare i servizi remunerativi ai privati e quelli in perdita agli ospedali pubblici.
Regione Lombardia deve tornare ad avere un ruolo fondamentale nella programmazione sanitaria cioè recepire le esigenze di salute del territorio, che comprendono prevenzione, cura e assistenza e provvedere a colmare il fabbisogno sanitario. Purtroppo, in questi anni si è invertito l’ordine delle cose e si è pensato di più a garantire le prestazioni necessarie a chiudere i bilanci economici piuttosto che valutare le esigenze di cura e soprattutto di prevenzione.
È evidente che la qualità della vita ed il rischio di peggioramento delle condizioni generali di salute dei pazienti sono a rischio. Questo vale anche per la presa in carico dei cronici, che prima sono stati invitati a farsi gestire la cronicità tramite massive comunicazioni istituzionali e poi sono stati abbandonati.
I privati se vogliono avere nei loro bilanci la certezza delle entrate garantite dalle casse pubbliche devono diventare veramente parte del sistema sanitario regionale e non entrarci solo per battere cassa. I dati ci dicono che tutta una serie di prestazioni, altamente remunerative vengono fatte quasi esclusivamente nel privato dove però abbiamo, ad esempio, i peggiori dati che riguardano i pronto soccorso dove tutti gli indicatori analizzati sono negativi.
Le liste d’attesa sono il risultato di una errata programmazione sanitaria, non esiste una semplice norma che può ridurre le liste d’attesa ma un insieme di misure che vanno applicate tra cui: unione delle agende tra pubblico e privato, controllo dei volumi di prestazioni pubblici/privati, rispetto delle normative previste dal Piano Nazionale di Governo delle Liste d’attesa, e revisione dei criteri di premialità dei direttori generali.
Le case di comunità possono essere la soluzione per riportare i medici di base ad avere contatti più diretti con il territorio, oppure no?
I medici di base hanno già un contatto diretto con il territorio, perché sono attualmente l’unica forma di sanità territoriale o di prossimità presente, il resto è stato malamente smantellato dalle politiche degli ultimi 28 anni di centrodestra a favore di un modello ospedalecentrico.
È evidente che non possiamo continuare a pensare al medico di medicina generale che lavora da solo chiuso nel suo studio, spesso sommerso dalla burocrazia e con l’impossibilità di visitare i suoi pazienti. È necessaria una revisione totale della loro funzione, e le case di comunità possono essere una delle soluzioni.
La rete prevista dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza può essere una grande risposta se i medici di base vengono coinvolti nel modo giusto. Da un nostro recente sondaggio che ha coinvolto oltre 1.600 medici di Milano e provincia, buona parte di loro non sa nulla di come funzioneranno queste strutture.
Se le istituzioni come Regione si impegnassero seriamente sul tema, forse potremmo non sprecare quest’occasione storica per tornare a garantire appieno il diritto alla salute dei pazienti e a un posto di lavoro umanamente sostenibile per i medici.
Lo psicologo di base era stato visto come un deciso passo in avanti per quanto riguarda il rapporto con i cittadini. Poi, però, è stato bloccato dalla Commissione Bilancio. C'è speranza di vederlo funzionante?
La speranza di vedere funzionare un sistema sanitario regionale normale non muore mai nonostante i danni causati dal centrodestra negli ultimi anni. Però bisogna precisare che la Commissione Bilancio ha bloccato quella proposta perché il progetto di legge era scritto male e pensato senza serietà visto che si sapeva da subito che non c’erano risorse economiche adeguate, senza contare quelle umane.
In Lombardia, secondo una stima basata sui dati di Ats Milano e Agenas, mancano 300 psichiatri e 2.000 mila tra infermieri, psicologi, educatori e assistenti sociali. Inoltre, l’ufficio legislativo del Consiglio Regionale ha segnalato più volte che quel progetto di legge presentava dei profili di incostituzionalità, e che sarebbe andato in conflitto rispetto a delle leggi nazionali.
La vera proposta sensata è quella di gestire il tema del supporto psichiatrico alla popolazione lombarda in modo da non sprecare le risorse, evitando proposte solo a fini elettorali o comunicativi per strappare un titolo di giornale: la sanità deve smettere di essere un tema piegato ai fini della propaganda, perché il recente passato ci ha dimostrato quanto sia un servizio davvero essenziale per il benessere di tutti.
Basti pensare che ho portato io in Consiglio il tema della salute mentale dei minori perché con la pandemia il problema era esploso, ma mancava l’attenzione delle istituzioni. Dopo il deposito della mia mozione, subito si sono aggiunti altri consiglieri con i loro contributi e la mia iniziativa ha portato a compiere alcuni passi avanti, ancora troppo pochi, ma è una delle soddisfazioni che mi porterò nel cuore al termine di questo mandato elettorale.
Come valuta l'operato di Letizia Moratti da assessora al Welfare? Può essere un avversario pericoloso?
Letizia Moratti è un avversario soprattutto per sé stessa. Prima ha chiesto a Salvini l’investitura, poi quando è stata rispedita a casa con un pugno di mosche si è proposta come candidata del Pd, per essere rifiutata un’altra volta. Alla fine, si presenta come candidata di centrodestra.
Diciamo che il suo percorso politico è opaco e confuso come la sua esperienza da assessore regionale: è arrivata per rimediare ai danni di Giulio Gallera, silurato da Fontana come capro espiatorio delle responsabilità di tutta la giunta, per poi avviare una non riforma della legge sanitaria lombarda senza ascoltare le opposizioni.
Come Movimento 5 Stelle ci siamo ribellati al suo modo di fare, fino a farci cacciare dalla Digos dall’aula consigliare perché nonostante gli oltre 300 emendamenti che solo io avevo presentato Moratti non ha accolto il nostro invito a scrivere una vera riforma. Io stesso ho tenuto l’intervento continuativo più lungo delle opposizioni durante l’opposizione a questa non riforma, ma visto che non ci hanno voluto dare retta abbiamo occupato l’aula.
Non credo che i Lombardi abbiamo apprezzato la Moratti assessore e non la ritengo un avversario per la coalizione di centrosinistra. Chi, dopo una riforma sanitaria basata sulla parificazione del pubblico con il privato, vota Moratti non avrebbe mai votato per una forza di centrosinistra che mette al centro dell’azione politica la tutela dei diritti di accesso alle cure e la sanità pubblica.
Lo vedrebbe bene il professor Pregliasco come assessore alla Sanità?
Abbiamo preteso che venissero fissati degli obiettivi per la tutela della salute e per la riforma del sistema sanitario regionale nel programma di coalizione, l’obbiettivo 50 di cui tutti oggi parlano l’ho inventato e scritto di mio pugno nei programmi elettorali.
Sinceramente mi piacerebbe parlare di quello non è questo il momento di fare corse in avanti su eventuali futuri ruoli. Oggi dobbiamo far capire ai cittadini che la sanità pubblica è a rischio per colpa delle politiche privatistiche portate avanti dal centrodestra.
Finché ci sarà la sanità pubblica i privati saranno obbligati a garantire il diritto di accesso alle cure per tutti i cittadini, ma se la politica continuerà a chiudere servizi pubblici a favore dei privati arriverà il punto che verrà messo in discussione anche questo diritto fondamentale e si potrà curare solo chi avrà la possibilità economica di pagarsi le cure.
Cosa vi ha convinto del progetto del centrosinistra?
Non abbiamo aderito a un progetto del centrosinistra, abbiamo avviato un percorso condiviso ponendo delle condizioni e dei temi precisi al centrosinistra che ci differenziano in maniera sostanziale dal centrodestra. È stato un cammino fatto insieme che ha portato alla stesura di un progetto concreto per un’altra Lombardia che sia più attenta all’ambiente, alla tutela della salute, al diritto di accesso alle cure, agli ultimi, ai più fragili… Insomma, insieme abbiamo unito le nostre migliori proposte con quelle degli altri partiti della coalizione.
A differenza dei personalismi delle destre di Fontana e Moratti che da anni parlano solo di chi deve essere il candidato presidente ma nessuno conosce la loro visione. Un balletto inguardabile, specialmente mentre c’è l’urgenza di portare a termine entro i tempi richiesti dall’Europa la rifondazione del nostro sistema sanitario.
Qualche giorno fa ha sottoscritto i 7 punti di Wikimafia per i candidati alle Regionali. Perché è importante farlo?
È importante farlo per affermare un principio: tutte le organizzazioni mafiose rappresentano il male della nostra società e dunque una delle caratteristiche di base di un politico deve essere una chiara e distinta presa di posizione contro le mafie.
Dobbiamo arrivare ad avere una politica che non abbia paura di essere trasparente e che non abbia paura di combattere le mafie tutti i giorni: in Lombardia esistono ormai centinaia di beni sequestrati alla criminalità e possono trovare molti utilizzi positivi per la società. Ma per una vera cultura della legalità non dobbiamo smettere di portare la storia della lotta alle mafie nelle scuole, perché i nostri figli devono crescere con gli anticorpi culturali a fenomeni criminali che minano le basi della convivenza civile.
Proprio qualche giorno fa ho letto dalla vostra testata del negoziante che ha messo in vendita il montone di Matteo Messina Denaro, e credo che in un paese come il nostro andrebbe introdotto il reato di “istigazione culturale alla mentalità mafiosa”, ovviamente la mia è una provocazione ma le istituzioni devono dare dei segnali forti e culturali contro le mafie.