Gli ex bagni pubblici di via Esterle destinati a luogo di culto, ma dentro ci vivono in cinquanta
Fuori, fra traffico, cantieri e parcheggi selvaggi, nessuno lo nota. Ma lo stacco è evidente: nella seconda metà di via Esterle, periferia nord di Milano, il nuovo d’improvviso diventa vecchio e il vecchio rimane vecchio, eppure abbastanza protettivo da essere chiamato “casa”. Subito dopo gli edifici moderni con pareti levigate e videosorveglianza, ci sono muri in mattoncini di inizio Novecento, vetri scrostati e impolverati, su cui sono affissi diversi manifesti, tra cui uno con scritto “Insieme a questo posto il comune vende anche gli abitanti?”.
Docce, bottoni, macchine e persone
Nel 1928 il regime fascista costruisce in via Esterle 15 docce e lavatoi pubblici, sostituiti in seguito da una fabbrica di bottoni e, negli anni Settanta, da una scuola professionale pubblica per carrozzieri gestita dalla Provincia e dall’Unione artigiani. Chiusa la scuola, lo stabile viene dismesso. La palazzina, abbandonata dal 1999, nel 2017 è stata occupata da decine di uomini, per lo più stranieri ma anche italiani, che non possono permettersi una casa. Hanno in media 28-30 anni, sono riders, magazzinieri, operai e lavoratori nei campi, alcuni stanziali altri stagionali. Prima di arrivare in via Esterle dormivano nei sottoscala di una scuola chiusa perché a “rischio amianto”: “A un certo punto – spiega il collettivo Ci siamo, a cui si sono rivolte queste persone – hanno deciso che non volevano più vivere nascosti come topi, e noi li abbiamo aiutati”.
Tra gli inquilini, tantissimi rider
All’ingresso dello stabile sono accatastate le biciclette dei fattorini che partono alla spicciolata per consegnare cibo a domicilio. A loro il lavoro è andato meglio e peggio negli ultimi due anni: “Sempre più consegne, ma anche sempre più concorrenza e condizioni disumane”, dice uno inforcando la bici. Altri lavorano nei campi, a volte anche nel sud Italia e in Spagna, lasciano via Esterle per alcuni mesi all’anno e poi tornano per arrangiarsi come possono.
“Siamo famiglia e micro mondo”
“Qui viviamo come una grande famiglia – dice Yasir, mentre nel salone centrale inizia a spargersi il profumo di riso e di gulash – condividiamo tutto, anche le preoccupazioni. Siamo qua perché non possiamo essere altrove, ma il nostro è anche un modello di multiculturalità: ci sono cittadini da ogni parte del mondo, anche italiani, organizziamo attività sociali e artistiche, parliamo dei problemi che affliggono l’Italia e i nostri Paesi d’origine”.
Abitare o pregare?
L’idea di palazzo Marino, già dal 2014, era di adibire lo stabile a luogo di culto non cattolico. Iniziativa viene concretizzata con il bando pubblico del 25 marzo 2022, che scadrà il 30 maggio. “Dato che la legge regionale impone di scegliere un luogo puntuale – fa sapere a Fanpage.it l’assessore alla Casa del Comune di Milano, Pierfrancesco Maran -, un’area vicina a via Padova come via Esterle, epicentro multiculturale ad alto tasso migratorio, ci è sembrata la soluzione più opportuna”. “Il punto – dice il collettivo Ci siamo – è mettere la questione su una scelta tra pregare e abitare. È la Milano che non vuole vedere e non vuole far vedere i poveri”.
“Questa è la nostra casa, impossibile averne un’altra”
“Nessuno di noi – precisa Yasir – potrebbe permettersi altro, quindi per noi questa è la nostra casa. Vuoi perché alcuni aspettano da anni i documenti, vuoi perché per affittare un appartamento devi avere un contratto stabile e tutti siamo autonomi o abbiamo al massimo contratti a tempo determinato di 2-6 mesi, vuoi perché a Milano, se sei straniero e vuoi prendere in affitto una casa devi avere un garante italiano. La gente non si fida, ma qui lavoriamo tutti, nessuno di noi ruba”.
Una casa popolare su 5 è vuota
In questo quinquennio gli inquilini – da 30 a 50 a seconda delle stagioni – hanno rimesso a posto gli spazi, che, nel limite degli orari lavorativi, cercano di tenere in ordine, ma il Comune, interpellato, ritiene sia giusto proseguire sulla via intrapresa. “Milano – commenta Maran – ha l’11 per cento della popolazione che vive in case popolari, quando il resto d’Italia arriva al massimo al 5 per cento”. Eppure, delle 67mila case popolari di Aler e Mm, 13mila – una su 5 – sono vuote e nel 2021 sono stati assegnati solo 1270 alloggi: “Ci sono due questioni fondamentali – replica Maran -. La prima è che molti appartamenti andrebbero ristrutturati, per il costo di 40mila euro l’uno, e 40mila euro per 13mila appartamenti sono una cifra mostruosa. Il secondo aspetto è la lentezza burocratica imposta da Regione Lombardia: se ci va bene riusciamo a fare un’assegnazione al giorno”.
Il Comune: “Verranno sfrattati”
Nonostante i rapporti con il quartiere siano sempre stati buoni, tanto da raccogliere il contributo solidale dei residenti con letti, coperte, cibo, vestiario, partecipazione alla scuola d' italiano, la linea di palazzo Marino è chiara: “Prevediamo misure di sostegno per i nuclei familiari con minori – specifica Maran -, ma in questo caso, trattandosi di uomini che hanno occupato abusivamente uno spazio pubblico, il Comune non si impegna a trovare altra sistemazione, anzi, sono perseguibili per legge”. "Resisteremo, non ci sentiamo abusivi", la replica degli inquilini.