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Giovani neonazisti volevano massacrare attivista: “È un musulmano di m.., non deve stare in Italia”

I quattro indagati appartenenti dell’associazione nazifascista Avanguardia Rivoluzionaria – smantellata con l’operazione “Realpolitik” della Digos e della Procura di Milano – avevano pianificato nel dettaglio il pestaggio a un’attivista musulmano a San Siro. Dal passamontagna al bastone da utilizzare. L’ordine era di non colpirlo alla testa per evitare che la vittima andasse in ospedale e scattasse la denuncia, anche se “l’importante è fargli male”, come si sente in una telefonata intercettata tra due membri dell’organizzazione.
A cura di Giorgia Venturini
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"La loro attenzione per i dettagli è maniacale". Così i procuratori Alberto Nobili ed Enrico Pavoni della Sezione Antiterrorismo della Procura di Milano si sono espressi sui quattro giovani membri dell'organizzazione nazifascista "Avanguardia Rivoluzionaria", smantellata ieri con l'operazione "Realpolitik" della Digos: i quattro, ora tutti indagati, nei mesi scorsi sono stati impegnati a pianificare il pestaggio di un attivista musulmano a San Siro. Per gli inquirenti la vittima non è stata scelta a caso: per i giovani si trattava delle persona giusta per "ricondurre a giustizia il sistema": ovvero "un'azione punitiva contro chi rappresenta il male – nero, musulmano e di sinistra – che va sradicato da una società da avviare tramite azioni violente verso una purificazione". In una chiamata tra due degli indagati se sente dire: "È un musulmano di merda che non dovrebbe neanche stare nella nostra nazione".

Il manganello ordinato su Amazon

Tutti i dettagli su dove e come sarebbe avvenuta l'aggressione sono emersi da più conversazioni telefoniche, finita poi tra le intercettazioni, tra membri dell'organizzazione: "L'unica cosa" che ancora mancava era "il bastone per il pestaggio. Però io so solo che Breivik (così si faceva chiamare uno dei quattro indagati prendendo come modello il terrorista della strage in Norvegia) conosce un posto" dove recuperarlo. "Comunque saranno tutte cose dell'organizzazione, non saranno nostre". Non solo il bastone, Breivik è pronto a fornire anche passamontagna per non essere identificati. Mentre si sarebbero procurati un manganello tramite un ordine su Amazon.

L'ordine di non colpire la vittima alla testa

Tutti sono d'accordo sul fatto che deve tradursi in un'azione che non metta a repentaglio la vita della vittima, non perché temono per la sua incolumità ma per non mettere a rischio il futuro dell'organizzazione. Per questo due degli indagati precisano nella chiamata che "prenderlo in testa" si rischia "davvero di mandarlo all'altro mondo". Perché "un conto è fargli veramente male però se lui finisce in ospedale la denuncia parte in automatico". Ben chiara all'organizzazione è come sarebbe avvenuto il pestaggio: se l'attivista fosse stato in moto, i due aggressori lo avrebbero buttato a terra e iniziato a colpirlo con delle manganellate alle gambe e alle braccia per evitare che possa reagire. Se non fosse stato in moto, uno dei loro avrebbe avvicinato la vittima spruzzandogli del deodorante negli occhi. La scelta era ricaduta sul deodorante perché lo spray al peperoncino potrebbe risultare urticante anche agli aggressori.

Il divieto di parlare durante il pestaggio

In qualsiasi caso, l'ordine è quello di non prenderlo in testa per evitare il ricovero e quindi una denuncia. "L'importante è fargli male". Però evitando di mandarlo in ospedale o ucciderlo: "Per adesso è troppo presto (per l'organizzazione)". Ma evitare testa e collo durante le pestaggio non è l'unico ordine. Il "Comandante" – all'interno dell'organizzazione vigeva una rigida gerarchia – ha anche vietato di dire "ne..o di m…a" per evitare che il pestaggio sia riconducibile a questioni razziali. Anzi, "non bisogna parlare. Punto". "Bisogna picchiarlo. Punto", si sente in un'altra intercettazione. Una delle conversazioni poi si conclude con uno che invita l'altro a comprare un manganello da tenere pronto per altre azioni future. Alla fine, grazie all'operazione "Realpolitik" della Digos e della Sezione Antiterrorismo della Procura, bastone e manganello non sono servite né per il pestaggio dell'attivista musulmano né per eventuali violenze future della Avanguardia Rivoluzionaria.

Il sopralluogo a San Siro la sera del 16 giugno

Certo è che tutto era pronto e pensato nei minimi dettagli: tanto che avevano già effettuato un sopralluogo a San Siro, quartiere di Milano in cui sarebbe avvenuta l'aggressione, la sera del 16 giugno. I quattro indagati quella sera però hanno rinunciato al pestaggio: fermati per un controllo in largo La Foppa le forze dell'ordine li hanno trovati in possesso di un telescopio, di un coltello, di felpa e pantaloni scuri, di due flaconi di deodorante e due cartoline raffiguranti Hitler e Mussolini. Ora i quattro membri di "Avanguarda Rivoluzionaria" – tutti appartenenti a famiglie della "Milano bene" – sono stati raggiunti da misure restrittive.

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