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Giornata mondiale dell’autismo, in Italia tanto si è fatto e tanto si deve ancora fare

600mila italiani hanno un disturbo dello spettro autistico. Il 2 aprile è la giornata mondiale dell’autismo, ma la consapevolezza deve essere per tutto l’anno.
A cura di Chiara Daffini
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A Brescia la CorriXAutismo
A Brescia la CorriXAutismo

Alessio ha dieci anni e si entusiasma per il microfono di Fanpage.it. Anche se lo chiama “microonde”, sa benissimo che cos’è, infatti cerca di strapparcelo dalle mani e finge di cantare, ma dalla sua bocca escono solo suoni confusi. La sua mamma sorride nel vederlo felice: «Siamo in piazza per Alessio e per i bambini autistici come lui», spiega. Altre 1500 persone hanno riempito il centro storico di Brescia per la CorriXAutismo, una corsa e camminata non competitiva organizzata dal Fondo Autisminsieme per sostenere le famiglie che ogni giorno convivono con i disturbi dello spettro autistico. «Questa iniziativa – dice Giorgio Grazioli, di Autisminsieme – serve a raccogliere fondi, ma anche a dimostrare che la disabilità non è solo un fattore individuale e familiare, è una questione che riguarda l’intera società e va guardata con gli occhi dell’inclusione, della simpatia, dell’affetto».

Una condizione, non una malattia

Tante piazze italiane si sono riempite, o lo faranno, come a Brescia, per la giornata mondiale della consapevolezza dell’autismo, che si celebra il 2 aprile. Un’occasione per puntare i riflettori su quella che è una condizione, non una malattia, in quanto connaturata e incurabile. «Si parla di disturbi dello spettro autistico – spiega Maria Villa Allegri, vice presidente di Anffas Lombardia onlus, a cui afferiscono diverse realtà che si occupano di autismo – perché è un continuum di situazioni, ognuna diversa dall’altra, con livelli di gravità e manifestazioni differenti, per cui non è possibile stilare un identikit della persona con autismo».

Attività abilitative per bambini autistici al Centro Faroni di Fobap-Anffas
Attività abilitative per bambini autistici al Centro Faroni di Fobap-Anffas

L’autismo cresce

«I dati più attendibili vengono dagli Stati Uniti – osserva Stefania Bottini, responsabile del Centro Faroni di Fobap-Anffas, a Brescia, un polo d’eccellenza insignito dall’Europarlamento del Premio cittadino europeo -, e parlano di un bambino autistico ogni 54. Nel 2002 la proporzione era di un bambino ogni 150, nel 1991 di uno su 500. Sicuramente la più elevata capacità e tempestività nella diagnosi ha fatto crescere questi numeri, ma c’è comunque una tendenza evidente all’aumento, riferibile a cause genetiche e ambientali non ancora appurate». Le rilevazioni dell’Osservatorio nazionale sull’autismo, che fa capo all’Istituto superiore di sanità, registrano 1 caso su 77 nei bambini tra i 7 e i 9 anni e la stima di Angsa (Associazione nazionale genitori soggetti con autismo), calcolata al ribasso, conta 600mila persone con autismo in Italia. La proporzione maschi-femmine è di 4 a 1.

La diagnosi precoce è fondamentale

I primi segnali si possono individuare già nel primo anno di vita del bambino
I primi segnali si possono individuare già nel primo anno di vita del bambino

«Molte regioni – dice Allegri – si stanno organizzando per arrivare a riconoscere l’autismo in maniera sempre più tempestiva. La Lombardia, per esempio, nel piano operativo autismo, ha stabilito che i pediatri, entro i 18 mesi, debbano somministrare al bambino il test M-chat e, nel caso rilevino elementi sospetti, segnalino alle neuropsichiatrie infantili, che a loro volta sottoporranno il piccolo ad altri test, avanzando una prima diagnosi ipotetica entro i due anni e una diagnosi certa entro i tre». Il coinvolgimento dei pediatri è un passo fondamentale, impensato e impensabile fino a qualche anno fa, quando i campanelli d’allarme arrivavano per lo più dai genitori o al massimo dagli asili nido. «La pediatra inizialmente non mi credeva – racconta Roberta Cremaschini, mamma di Federico -, diceva che ero io troppo apprensiva». «Avevo il confronto con la sorella gemella di Francesco – spiega Deborah Tuveri -, ed era evidente che lui era diverso… Ma gli altri mi ripetevano che le femmine sono più precoci dei maschi. Invece una mamma lo sa quando c’è qualcosa che non va». «Mio figlio Riccardo non parlava – ricorda Maria Rosaria Pisani – e la prima cosa che abbiamo fatto è stato il test dell’udito, speravamo tanto che fosse dovuto a quello…».

Ma la vera sfida arriva dopo…

Il problema più grande è cosa fare dopo la diagnosi: i centri abilitativi coperti dal Sistema sanitario nazionale hanno liste d’attesa lunghissime. «A volte anche di 2 o 3 anni – precisa Allegri – e chi non vuole aspettare non può fare altro che rivolgersi al privato, ma non tutte le strutture presentano le caratteristiche indicate dall’Istituto superiore di sanità e i costi possono arrivare a 1000-1200 euro al mese». Eppure proprio l’intervento precoce è essenziale: «Agendo subito si sfrutta la plasticità mentale del bambino ed è più facile trasmettergli strumenti utili a migliorare la sua qualità della vita e quella di chi lo circonda», dice Bottini.

«Il momento in cui mi sono sentita più sola – riocorda Roberta – è stato quando, una volta ricevuta la diagnosi, mi sono chiesta: “e adesso cosa faccio?”. Mi avevano detto che c’erano almeno 200 bambini davanti al mio, in attesa di accedere al programma abilitativo».

Bambini con autismo durante il trattamento abilitativo al Centro Faroni di Fobap-Anffas
Bambini con autismo durante il trattamento abilitativo al Centro Faroni di Fobap-Anffas

27 milioni dalla legge di Bilancio

La Legge di bilancio per il 2022 ha aggiunto 27 milioni al Fondo per l’autismo per quest’anno, risorse da destinare a iniziative e progetti di carattere socio-assistenziale e abilitativo per le persone con disturbo dello spettro autistico. Altri 13 milioni sono arrivati da Regione Lombardia, che ha istituito un voucher per “disabilità gravissima e autismo”. Il bonus servirà a sostenere economicamente i trattamenti settimanali – scalabili con l’avanzare dell’età – per i bambini con disturbo dello spettro autistico.

C’è ancora molto fa fare

«Serve un programma integrato – chiarisce Bottini -, che punti a incrementare tanto le abilità comunicative e motorie quanto l’interazione sociale e l’autonomia. È necessario creare una rete intorno al bambino: scuola, servizi di neuropsichiatria e soprattutto famiglia».

Le famiglie, appunto. «Trovare specialisti e operatori competenti e umani è stato fondamentale – dice Deborah -. Certo, pensi a tutte le cose che avevi immaginato per tuo figlio e ti rendi conto che non saranno possibili, ma giorno dopo giorno ti accorgi anche dei miglioramenti e delle potenzialità». «Quando mi chiede un bicchiere d’acqua o la merenda – aggiunge Maria Rosaria – per me, per noi, è una grande conquista: viviamo di questi traguardi quotidiani».

E dopo?

I trattamenti devono fornire strumenti per migliorare le capacità comunicative e l'autonomia
I trattamenti devono fornire strumenti per migliorare le capacità comunicative e l'autonomia

Resta però una domanda. «Che cosa succederà quando non ci sarò più io a proteggerlo?», si chiede Deborah e insieme a lei tante mamme e papà di bambini e ragazzi con autismo. Quesito che scopre un altro nodo ancora da sbrogliare: l’assenza – in buona parte del territorio italiano – di centri specializzati per l’autismo negli adulti. In molti casi, infatti, al compimento dei 18 anni avviene la presa in carico nei dipartimenti di salute mentale, senza un programma individualizzato e un accompagnamento adeguato.

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