Gioielliere ucciso nel suo negozio in Brera, dopo 10 anni 50mila euro al figlio: “Cifra irrisoria”
Un omicidio efferato, avvenuto con 42 colpi di cacciavite durante un tentativo di rapina. Per il delitto del gioielliere Giovanni Veronesi, avvenuto il 21 marzo 2013 nella sua bottega di via dell'Orso a Milano (Brera), è stato condannato all'ergastolo (poi ridotto a 30 anni di carcere) il killer Ivan Gallo.
Il figlio della vittima invece, in assenza di risarcimento dell'imputato, ha ottenuto oggi dalla Presidenza del Consiglio, dopo dieci anni dal delitto, un indennizzo di 50mila euro. "Una cifra irrisoria" secondo i legali Claudio Deflippi e Gianna Sammicheli, che ricorreranno in appello e alla Corti europee.
L'omicidio del gioielliere di via dell'Orso a Milano
L’omicidio di Giovanni Veronesi risale al 21 marzo del 2013. Il gioielliere, 75 anni, fu massacrato nel suo negozio di via dell’Orso nel quartiere Brera, pieno centro di Milano, con quasi quaranta martellate.
Al momento dell’omicidio Ivan Gallo aveva 37 anni ed era stato da poco licenziato dall’azienda che si occupava dell’impianto di videosorveglianza della gioielleria: Gallo, quel giorno di marzo di dieci anni fa, entrò nel negozio di Veronesi e tentò di sottrargli con la violenza alcuni gioielli e 200mila euro. Fu incastrato proprio dalle telecamere della bottega, che lo ripresero mentre si allontanava tranquillo dal luogo del delitto.
L'arresto dell'omicida dopo la fuga in Spagna
Fu arrestato a Marbella, in Spagna, dopo una fuga durata cinque giorni: prima di essere riportato in Italia, secondo il giudice, l'uomo aveva "passato piacevolmente le sue serate" all'estero, trascorrendole tra "sostanze stupefacenti" e "progetti per il futuro". Interrogato dal giudice per le indagini preliminari dopo l'arresto Ivan Gallo confessò di aver ucciso Veronesi, e si difese sostenendo di trovarsi in una situazione economica disperata.
"Volevo raccogliere denaro per andare a trovare mia figlia in Spagna", raccontò durante l'interrogatorio". Arrivato a Marbella, però, non si era certo "dedicato solo alla figlia", si trova scritto nelle motivazioni della sentenza di primo grado. Anzi. Un testimone riportò di averlo sempre incontrato "tutto fatto", impegnato a passare le serate a "giocare con un altro tossicone". Per il giudice che lo condannò all'ergastolo, in poche parole, fu "totalmente insensibile rispetto all'omicidio appena commesso".