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Stefano Ansaldi morto suicida a Milano

Ginecologo ucciso a Milano, tutti i misteri sulla sua morte: la verità potrebbe essere scomoda

Il corpo del dottor Stefano Ansaldi è stato trovato con un profondo taglio alla gola sotto un ponteggio in via Macchi, a poca distanza dalla stazione Centrale di Milano, nel tardo pomeriggio di sabato. Il ginecologo campano era in città da alcune ore e aveva solo il biglietto di andata. Sono tante le cose che non quadrano, a partire da quel guanto di lattice indossato dalla vittima.
A cura di Salvatore Garzillo
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Il ginecologo campano Stefano Ansaldi, ucciso sabato pomeriggio a Milano
Il ginecologo campano Stefano Ansaldi, ucciso sabato pomeriggio a Milano
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E se non avessimo capito nulla? Se tutte le ricostruzioni scritte finora sulla morte di Stefano Ansaldi fossero sbagliate e le polemiche sulla sicurezza fossero un esercizio di routine senza alcuna utilità? I carabinieri del Nucleo investigativo iniziano da queste domande per chiarire la morte del ginecologo beneventano che sabato pomeriggio è morto a Milano sotto un ponteggio di via Mauro Macchi, a poca distanza dalla stazione Centrale, punto di partenza di questa storia.

La visita alla sorella

Ansaldi viveva e lavorava a Napoli, non era solito spostarsi nel capoluogo lombardo pur avendo una sorella che si era trasferita lì da anni. Sembra che i rapporti non fossero idilliaci ma si è scoperto dopo, la prima ipotesi degli investigatori è che fosse arrivato a Milano per un saluto pre natalizio anticipando la chiusura delle regioni per le disposizioni anti Covid. In un tale scenario il ginecologo sarebbe stato colpito mentre raggiungeva l’appartamento della sorella, ucciso come un passante senza alcun legame con il suo (o i suoi) assassini. Ma c’è voluto poco tempo ai militari per capire che c’era qualcosa di strano. La sorella, infatti, era in procinto di andare a Napoli proprio per le feste, quindi non c’era alcuna fretta di percorrere mezza Italia in treno per un saluto fugace.

Il biglietto di sola andata

La durata della sua trasferta milanese è un altro punto importante. Alla famiglia aveva detto che avrebbe dovuto incontrare una persona a Milano ma che sarebbe rientrato poche ore dopo. Andata e ritorno in giornata, una bella fatica per un uomo di 65 anni seppur in salute e seduto in prima classe. Ansaldi era arrivato nel primo pomeriggio e secondo i piani avrebbe avuto solo due possibilità per rientrare: con un Frecciarossa alle 18.10 o con un Intercity alle 21.10. Sappiamo che aveva solo il biglietto di andata, forse perché non poteva prevedere a che ora avrebbe finito, ma il medico è morto sotto quel ponteggio con un profondo taglio alla gola attorno alle 18.30. Significa che la possibilità di rientrare con il Frecciarossa era già sfumata e l’unica alternativa sarebbero state le 11 ore di viaggio in Intercity, davvero troppo per una semplice visita di cortesia tra amici. Aveva messo in conto che non sarebbe davvero rientrato in giornata?

Il Rolex lasciato accanto al cadavere

Il tema centrale è la rapina. Per mezza giornata è stata l’ipotesi principale degli investigatori, poi sempre più ridimensionata dagli elementi raccolti. Gli mancavano portafogli e cellulare ma a terra, accanto al corpo, c’era il suo Rolex insanguinato. Sembra strano che qualcuno disposto a uccidere uno sconosciuto in una rapina lasci sul posto il bottino più interessante. Forse il cellulare è stato portato via perché conteneva il contatto dell’assassino e il portafogli è stato sottratto per ritardare l’identificazione dell’uomo e guadagnare tempo. E così sarebbe stato se Ansaldi non avesse avuto in tasca la sua carta d’identità. Niente portafogli ma il documento in tasca, sembra il contrario dell’ipotesi appena descritta, si potrebbe quasi immaginare che ci fosse l’intenzione di agevolare l’identificazione.

La rapina c'è stata davvero?

Col passare delle ore, ormai dei giorni, la rapina perde forza così come il collegamento con l’aggressione subita dal pensionato 72enne Anacleto Giriolo. L’anziano ha raccontato di essere stato spinto a terra e rapinato di cellulare e portafogli da due giovani nordafricani in via Settembrini attorno alle 18.30. Un episodio violento a 400 metri da un cadavere e a distanza di pochi minuti, una bella casualità per non investigare. E invece sembra che sia proprio una bella casualità e basta. Innanzitutto perché la rapina a Giriolo è avvenuta dopo la morte di Ansaldi e pare davvero improbabile che due presunti assassini restino nello stesso quadrilatero dopo un omicidio tanto brutale. In più avrebbero avuto ancora la lucidità per commettere una rapina, ma sarebbero stati così sbadati da lasciare l’arma del delitto accanto al corpo?

L'arma del delitto e il guanto

Il coltello che ha reciso la carotide del ginecologo è rimasto in via Macchi, repertato dalla Scientifica come prova numero uno. Potrebbero esserci le impronte dell’autore e mettere rapidamente il punto alla vicenda. A meno che la persona non indossasse un guanto. Non occorre qualcosa di elegante da film giallo, basterebbe un guanto in lattice come quello indossato proprio da Ansaldi. Ecco un altro elemento fuori asse in questa scena del crimine, la presunta vittima che indossa un guanto come avrebbe dovuto fare un bravo assassino. Un ribaltamento dei ruoli difficile da spiegare. Certo, siamo in pandemia e per tanti mesi i guanti sono stati descritti come una protezione necessaria per evitare il virus ma Ansaldi era un medico stimato, uno scienziato aggiornato, sapeva bene che proprio l’Oms ha fatto retromarcia sulla reale utilità per difendersi dal Covid. Cosa è accaduto sotto quel ponteggio, in quell’unico punto al riparo dalle telecamere? E se non avessimo capito nulla?

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