Gianfranco Bedin a 78 anni non smette di festeggiare l’Inter: “Domenica sarò allo stadio, poi festa in Duomo”
Ci sarà anche lui, domenica 28 aprile, alle 12.30, a San Siro, in occasione della gara interna Inter-Torino, a festeggiare il 20simo scudetto dei nerazzurri, unitamente alla loro seconda stella. Lui è Gianfranco Bedin, centrocampista tutto polmoni della grande Inter: tre scudetti (‘64-‘65/'65-‘66/'70-’71), 1 Coppa Campioni ('64-’65), 1 Coppa Intercontinentale (1965).
Gianfranco, sei stato un centrocampista della grande Inter. Questa di Simone Inzaghi, è una grande Inter?
È sicuramente una grande Inter, per il periodo che stiamo vivendo, per il 2024, per questa epoca. Questo è certo. Gioca bene, è convinta della propria forza. È un bellissimo momento, come lo era quando gIocavamo noi.
Tu, all'inizio, pensavi a un campionato così dominante?
A questo livello, non pensavo. Sicuramente, è tutto merito della squadra, della società, quello di un percorso così incredibile. Non è demerito degli avversari, è solo merito della forza di questa squadra.
Sembra non essere periodo di cicli, ma questa Inter ne può aprire uno?
Come no? Hanno capito qual è la strada da percorrere, sanno cosa fare e come farlo. Sono convinto di sì.
Domenica 28 aprile, sarà un mezzogiorno di festa. San Siro si annuncia stracolmo per Inter-Torino, la gara che celebrerà i neocampioni d'Italia che raggiungeranno così anche la seconda stella. Anche tu non mancherai…
Sicuramente sarò allo stadio per vedere la partita e festeggiare. Sarà un'immensa gioia per tutti noi interisti. Per me, poi, che sono qui dagli anni '60, immerso di interismo, puoi immaginare cosa significhi questo successo, questo scudetto. Sarà un’emozione incredibile.
Gianfranco, qual e’l’identikit del tifoso interista?
Sicuramente appassionato, esigente e anche molto paziente. Un po' incline e destinato a seguire dei cicli: quello della grande Inter degli anni '60, ora questo. Perché anche questo è un ciclo, meraviglioso. Spero, anzi, ne sono convinto, che sarà molto lungo.
Ai tempi della grande Inter, qual era il tuo rapporto con la città di Milano?
Mondo boia! Sai cosa? È cambiata molto. A me, che sono arrivato da San Donà di Piave, la città faceva un po' paura. Poi, con l'aiuto dei compagni e della società, è andato tutto a posto. È cambiata l'educazione, la cultura, sono cambiate le abitudini. Non saprei dire perché. E tutto ciò, nel bene e nel male. Milano, ora, mi sembra risenta negativamente della situazione generale. Altri tempi, quelli degli anni '60.
Dei tre scudetti da te vinti, quale ti è rimasto più impresso?
Sicuramente il primo. Fu una rincorsa entusiasmante sul Milan. Certamente, sì, il primo, perché del tutto inaspettato.
La capitale del calcio italiano è Milano?
Sì, non ho dubbi. Inter e Milan la rendono tale. Al cento per cento. Senza ombra di dubbio.
L’Europa è un sogno fattibile per la Milano nerazzurra?
Eh! Eh! Rido amaramente, perché, quando si arriva in fondo, tocchi con mano il traguardo e questo ti sfugge, ci rimani male. Però, guarda, ti dico che è fattibile, perché la squadra ha iniziato un percorso importante positivo, con una consapevolezza, conseguita proprio nella finale di Champions, persa con il City. Oggi abbiamo una squadra forte e convinta, una società forte, tanto da poter pensare di raggiungere il massimo dei traguardi: la Champions League .