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Giacomo Agostini: “Mio padre non voleva che corressi in moto, lo convinse un amico. Poi ho vinto tutto”

“Un amico di mio padre lo convinse a farmi correre in moto, solo che era un po’ sordo e aveva capito in bicicletta”: Giacomo Agostini si racconta a Fanpage.it.
A cura di Paolo Giarrusso
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Il profilo della sua leggenda sta tutto nei numeri, impressionanti: in 13 stagioni disputate, 15 titoli mondiali (7 nella 350 e 8 nella 500), 123 Gran Premi vinti (54 nella 350, 68 nella 500, 1 nella 750), oltre a 37 altri podi. Più di 300 successi complessivi, 18 volte campione italiano (2 da junior). È, con Valentino Rossi, il più grande campione che il mondo delle due ruote abbia mai conosciuto: Giacomo Agostini.

Sin da bambino, la passione e la vocazione per le moto. Tuo papà Aurelio, segretario comunale a Costa Volpino, nel Bergamasco, e titolare di un'azienda di trasporti, con chiatte e rimorchiatori sul lago d'Iseo, ti voleva ragioniere. Ma a 18 anni, un equivoco dal notaiodi famiglia, ha potuto far nascere la leggenda di Giacomo Agostini. Ce lo puoi raccontare?

Mio padre non voleva che io corressi in moto. Io facevo continuamente pressione, ma lui non cedeva. Diceva che non avrebbe mai firmato la morte di suo figlio. Oggi lo capisco, all'epoca no. Un giorno andammo dal suo amico notaio, per un atto notarile. Il notaio, vedendomi triste, mi chiese che cosa avevo. Risposi: "Io voglio correre in moto, lui no". Lui allora (era piuttosto sordo) convinse mio padre, dicendogli che lo sport fa bene ai giovani, ecc. Mio padre allora cedette e firmò l'autorizzazione alle gare ufficiali. Il notaio aveva capito bicicletta e non motocicletta! Ma ormai era fatta e da lì è partito tutto.

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Un grande talento, il tuo. Ma da solo non basta. Quanto hanno contato il coraggio, la determinazione, l'attenzione ai dettagli, la pignoleria?

Il talento è un fattore molto importante, un dono che ti dà Madre Natura. Così come il coraggio l'hai dentro di te, nel tuo dna. Poi, devi capire, però, che ci sono certe regole da rispettare: non puoi, ad esempio, alla vigilia di una gara andare in discoteca fino alle 4 del mattino. Devi curare il fisico, l'alimentazione. A tutto questo, va aggiunta la serietà, la pignoleria, l'attenzione ai dettagli, la condivisione con i tuoi meccanici di tutti gli aggiornamenti.

Quella tra Giacomo Agostini e la MV Agusta si può definire una lunga storia d'amore?

Nel mio cuore ho tre marche: la Morini che mi ha dato il via, con la prima vittoria (e il primo amore non si scorda mai), la MV Agusta, che mi ha dato tanti campionati del mondo, e alla fine la Yamaha, con la quale ho vinto altri due titoli mondiali. Però, certo, la MV è stata la più importante. Con lei ho vinto 13 campionati del mondo ed è stata la mia seconda famiglia. Ho vissuto lì tanti anni, io e i meccanici ci volevamo un gran bene. Un rapporto di grande amicizia, ma molto professionale. Questo ha contribuito, non poco, a tutti i successi conseguiti.

(Foto da Facebook)
(Foto da Facebook)

Valentino Rossi si è ritirato. Un campione eccezionale, anche lui. Che cosa ti piaceva maggiormente di lui? C'è qualcosa che vi accomuna?

Quello che ci accomuna, sono senz'altro le vittorie. Ha vinto tanto lui, ho vinto tanto io. Poi sono stati anni diversi. Noi eravamo un po' più chiusi, timidi. Lui più aperto, più bravo a comunicare, più sorridente ed estroso. Lui mi piaceva, perché vinceva. Aveva un grande talento, dono di natura e preparava molto bene la sua moto. Stili di guida diversi: il nostro ci vedeva guidare tutt'uno con la moto. Molte volte non vedevi il pilota sulla moto, tanto era abbracciato ad essa. Invece, nell'epoca di Valentino, si guidava un po' fuori, ti buttavi giù dalla moto, sull'asfalto, con le gambe fuori. È cambiato un po' lo stile, dovuto al fatto che si parla di moto diverse e di gomme più larghe (le nostre), per cui dovevi tenere inclinata la moto con il tuo corpo… Insomma, sono cambiate un po' di cose.

Hai attraversato generazioni e generazioni. Il tuo mito vive ancora inalterato. Ti sei domandato perchè? E, soprattutto, che risposta ti sei dato?

Ti dirò che ciò mi fa molto piacere. Vuol dire che ho dato emozioni e gioia a tanta gente. Io sono sempre stato in sintonia con il pubblico: non ho mai rifiutato un autografo, una fotografia, anche se ero stanco e stravolto. Capivo, però, che il pubblico mi voleva bene, mi adorava e volevo essere riconoscente per quell'affetto che la gente aveva nei miei confronti.

Vincere così tanto ti ha procurato più affetto e simpatia o più odio (sportivo) e antipatia?

Credo più simpatìa ed affetto. Il pubblico vuole chi vince tutto, colui che fa cose che gli altri non riescono a fare. Gli esempi, solo per citarne alcuni, sono Cassius Clay, Valentino Rossi, Maradona, Schumacher e via dicendo. La gente si ricorda dei grandi, di chi ha vinto tutto.

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I tuoi rivali più iconici, accomunati da un tragico destino, furono due: Renzo Pasolini e Jarno Saarinen. Tu hai conosciuto, da vicino, l'avversario imbattibile, la morte, nel tragico incidente che ha tolto la vita a Pasolini e Saarinen il 26 maggio del 1973, a Monza. Hai detto: "Pensi sempre che non capiti mai a te". Questa convinzione ti ha sempre dato la forza di continuare?

Credo non valga solo per me, ma per tutti. Quando cade un aereo con 200 persone a bordo, il giorno dopo la gente è sempre in aeroporto per volare. Questo ci fa andare avanti, altrimenti saremmo bloccati. Non pensi che ti possa capitare.

Nel 1976, alla gara di chiusura al Nurburgring, con la MV cogli la prima vittoria stagionale, l'ultima della tua carriera. Proprio dove, 20 anni prima, avevi ottenuto il primo successo nel motomondiale, in sella, sempre, alla MV. Un epilogo emozionante e romantico. Cosa hai pensato in quel momento?

"Prima non ci avevo pensato, dopo ho riflettuto, realizzando che avevo vinto proprio lì la mia prima gara del campionato del mondo e proprio con la MV. Il destino aveva voluto così. Davvero un epilogo romantico ed emozionante.

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Hai aperto un Museo nella tua casa di Bergamo, ma guai a chiamarlo museo. Perchè?

Di solito il Museo è per chi se n'è già andato…(ride). Per il momento la chiamo Sala Trofei. Poi, un giorno, i miei la chiameranno museo.

Un'ultima curiosità. Perchè scrivono tutti "campione bergamasco", quando sei nato a Brescia?

Io sono nato a Brescia ed ho vissuto in provincia di Brescia per 13 anni. Poi mio padre ha spostato l'azienda sul lago d'Iseo e siamo andati ad abitare a Lovere. Quindi, motoristicamente sono nato nel Bergamasco. A 13 anni ho cominciato lì,  la licenza per correre l'ho fatta con il motoclub di Costa Volpino, poi di Bergamo. Quindi diciamo: bresciano di nascita, motoristicamente bergamasco.

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