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Franz di Ale e Franz a Fanpage.it: “I milanesi non esistono più, la città ha perso identità”

Il duo comico Ale e Franz per il terzo anno consecutivo mette in scena lo spettacolo di Natale al Teatro Lirico Giorgio Gaber “creato solo per Milano”. Francesco Villa, alias Franz, ha raccontato a Fanpage.it il suo rapporto con la città e la periferia, di quando la Gialappa’s li ha scoperti allo Zelig e degli insegnamenti di Enzo Jannacci e Giorgio Gaber.
A cura di Enrico Spaccini
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Francesco Villa, alias Franz
Francesco Villa, alias Franz

Il Natale milanese ha le sue ricorrenze fatte di panettoni, cenoni e bancarelle in piazza Duomo. Da tre anni, però, al Teatro Lirico Giorgio Gaber va in scena uno spettacolo che ha tutte le carte in regola per entrare a far parte della tradizione: il NatAle&Franz show. Il duo comico Ale&Franz, quest'anno affiancati da Enzo Iacchetti, dalla riapertura del teatro a più di 20 anni dalla chiusura portano sul palco la "Milano durante il periodo natalizio", racconta Francesco Villa (in arte Franz) a Fanpage.it: "Il Gaber lo abbiamo inaugurato noi e ci è stata data la possibilità di creare questo spettacolo che nasce solo per la nostra città e che ha una scadenza come lo yogurt. Il nostro è un pubblico che conosce e vive Milano, anche se in realtà il ‘milanese' non esiste più, si è estinto".

Ale e Franz in scena per lo spettacolo NatAle&Franz
Ale e Franz in scena per lo spettacolo NatAle&Franz

Ora vi esibite al Lirico, ma con Alessandro "Ale" Besentini siete esplosi allo Zelig di viale Monza che, per quanto iconico, la scorsa primavera ha rischiato di chiudere. Cosa avete pensato in quei giorni?

Quando è uscita la notizia ci siamo sentiti come se un familiare fosse in pericolo. Lo Zelig, il locale, è un punto di riferimento per noi tutti. Abbiamo chiamato Giancarlo Bozzo (che ha aperto il teatro in viale Monza nel 1986, ndr) e ci siamo messi a disposizione per dare una mano a raccogliere fondi. Perché lo Zelig aveva già una storia importante, la trasmissione televisiva non ha fatto altro che portare le telecamere all'interno. Era uno dei posti migliori dove poter fare cabaret in Italia e soprattuto era il classico locale dove arrivavano i talent.

Ricordo che una volta Giancarlo ci chiamò e ci disse: "Venite stasera", senza aggiungere altro. C'eravamo noi e prima questi che si chiamavano i Cavalli Marci. Non lo sapevamo ancora, ma era un gruppo genovese di 15 persone tra cui c'erano anche Luca e Paolo (Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu, ndr). In sala c'era la Gialappa's che chiamava periodicamente Giancarlo per chiedere aggiornamenti su cosa ci fosse in giro e ci scelsero per andare a fare Mai dire gol. Questo per dire quanto era ed è importante.

Nonostante gli anni di televisione e i vari film, il teatro è rimasta la componente più importante della vostra carriera.

Con il teatro ci sentiamo più a casa. Lo dimostra anche lo spettacolo che stiamo per mettere in scena al Gaber. Abbiamo una band importante in cui c'è anche Luigi Schiavone, uno dei chitarristi più grandi d'Italia, faremo cantare il pubblico, sarà una festa: uno spettacolo tra amici fatto per amici.

Ale e Franz insieme a Enzo Iacchetti
Ale e Franz insieme a Enzo Iacchetti

Entrambi non avete mai nascosto come Enzo Jannacci e lo stesso Giorgio Gaber siano stati per voi i maestri.

Jannacci e Gaber sono un riferimento non solo per noi, ma per tutti coloro che fanno questo tipo di lavoro a Milano. Erano uno spirito di creatività che aleggiava sulla città, la rappresentazione della milanesità dei loro anni, l'espressione musicale culturale di quel tempo. Raccontavano la Milano che iniziava ad accorgersi che c'erano anche gli ultimi, persone che arrivavano e che non riuscivano a inserirsi in una città che non era in grado di accogliere ancora tutti. Ora è diverso.

Oggi Milano riesce a essere più accogliente del passato?

Milano è una città che assorbe e accoglie e il fenomeno dell'immigrazione ha forse cambiato la sua natura, è diventata più internazionale. La città continua a cambiare, ovviamente non è più quella di quando io ero bambino. Penso che negli ultimi 10 anni sia diventata veramente multietnica e si è un po' persa quella dimensione di "grande paese" che aveva prima. Ora non è raro trovare stranieri, ma prima non se ne vedevano tantissimi, a differenza di altre città come Roma che per le sue caratteristiche è più predisposta all'accoglienza.

In cosa è cambiata la città?

Penso stiano venendo a mancare i riferimenti, l'identità. Dico una banalità: il nostro dialetto non c'è più. Ricordo che quando ero bambino il dialetto milanese lo parlavano tutti. Io sono milanese doc, da papà e mamma, ma lo parlava anche mio zio marchigiano che era arrivato 30 anni prima che però per integrarsi nella realtà cittadina la prima cosa che doveva fare era parlare in dialetto.

Ci scherzava anche Diego Abatantuono su questo, quando veniva provocato dal negoziante che gli diceva: "Fammi vedere come parli il dialetto" (dal film I Fichissimi, di Carlo Vanzina, ndr). Era una gag che faceva parte della vita quotidiana, ora questa identità non c'è più. Oggi non saprei dire come si riconosce un milanese, se ne avessi davanti uno non me ne accorgerei. Il ‘milanese' si è estinto, non esiste più.

Da diverso tempo il tema della sicurezza è diventato centrale nel dibattito politico e sociale della città, al punto che molti personaggi dello spettacolo decidono di metterci la faccia e parlarne. Pensa che si tratti solo di percezione data proprio dalla visibilità offerta dai social o il problema è reale?

Un po' entrambe le cose. La visibilità fa tanto e per fortuna che c'è, perché non è non raccontando le cose che si risolvono i problemi. È mettendoli alla luce che si possono affrontare i limiti di una città. Però non è che la ricordi così sicura quando ero bambino io, i pericoli della grande città li ho sempre avvertiti. Sono cresciuto a Bruzzano, una zona di periferia che come tante altre negli anni '70 era un po' difficile. Io mi sono sempre trovato bene, ho conosciuto tante realtà che mi hanno insegnato a stare con i piedi per terra.

Non posso dire che Milano era un'isola felice o un paradiso terrestre: era una grande città e sono cresciuto sapendo che dovevo tenere gli occhi aperti. Mi sembra che questa cosa ci sia anche adesso. Milano ospita tanta gente che non la conosce, che ha un modo di relazionarsi diverso o che arriva da storie particolari. Forse ora c'è una forma di pericolosità diversa rispetto a quella a cui noi eravamo abituati, ma il livello è rimasto sempre quello delle grandi città. Non mi sembra che Roma sia da meno e non vuol dire che sia una città violenta. Sicuramente quando sono in giro alle 2 di notte so che si devono tenere gli occhi aperti, ma come anche a Torino, a Napoli e a New York.

Ha mai pensato di cambiare città?

Io sono milanese e il mio è uno stile di vita milanese. È proprio la mia città, il mio grande paese, che non è dispersiva, non è complessa. Non potrei stare lontano da Milano.

Sembra, però, che fuori Milano possa andarci a giocare il Milan, con il progetto per il nuovo stadio a San Donato Milanese.

In periferia, neanche lontanissimo. Anche quando è stato costruito il ‘Meazza' a San Siro non è che fosse una zona propriamente centrale, anzi era stata scelta proprio un'area un po' decentrata. Poi con lo sviluppo della città vengono sempre più inglobate le aree periferiche e lì puoi trovare spazi per costruire uno stadio che possono essere facilmente raggiungibili. Si parlava di costruirlo nell'area dell'Expo proprio perché c'erano collegamenti con il trasporto pubblico. Però anche in quel caso non si parla più di Milano, perché in città sarebbe impossibile trovare abbastanza spazio.

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