Francesco Iantorno, 80 anni, ha ucciso la figlia disabile Rossana, che di anni ne aveva 45. Lo ha fatto con un cocktail letale di farmaci e poi si è tagliato le vene. Dopo la scomparsa della moglie e il trasferimento del figlio in un'altra abitazione, aveva fatto dell'assistenza alla figlia la unica ragione di vita. Ma, evidentemente, oggi non ce l'ha fatta più e l'ha ammazzata probabilmente per sottrarla ad un futuro di angosce e dolori.
Il suicidio altruistico di Francesco
La questione batte un territorio delicato ed è facile essere condizionati dalle emozioni e da quelli che riteniamo essere gli ingredienti di una vita degna di essere vissuta. Ma possiamo muovere da alcune certezze. Quanto commesso da Francesco Iantorno è quello che si definisce in gergo tecnico suicidio allargato o altruistico.
In termini concreti, è un omicidio-suicidio scaturito da un senso di protezione patologico e paradossale. La cui ragione di fondo è manifestatamente legata al fatto che Francesco percepiva l’omicidio della figlia Rossana come l’unico mezzo per salvarla da un mondo minaccioso e senza scrupoli.
In questi casi non esistono guadagni secondari per il genitore che uccide, ma solo l’intima convinzione di sottrarre il proprio affetto alle ineludibili sofferenze che lo aspettano. Francesco, dopo la perdita della moglie, aveva verosimilmente sviluppato una fragilità profonda che lo aveva reso incapace di affrontare la situazione in modo razionale.
Una sfiducia generale verso il mondo, un pessimismo intrinseco che l’uomo avrebbe riversato su di sé e sugli altri. Portato dunque a ritenere che nessuno avrebbe potuto prendersi adeguatamente cura di lei e che quindi la sola esistenza, gravata dalla disabilità, non avrebbe avuto niente di piacevole da offrire a Rossana. Rendendo la sua vita di fatto non meritevole di essere vissuta.
Forse complice anche il ruolo periferico dell’altro suo figlio, che non viveva insieme a loro. O forse il mancato coraggio di relegare a quest'ultimo un compito importante come quello di accudire e prendersi cura di una figlia disabile.
Le responsabilità di Rosanna
Secondo quanto emerso, inoltre, è possibile ipotizzare che non si sia trattato di un gesto d’impeto, ma che l’uomo avesse progettato da tempo l’omicidio-suicidio. Del resto, Rossana è una vittima innocente che non può aver avuto alcuna corresponsabilità.
Francesco ha agito per istinto di protezione e probabilmente mosso dal convincimento che il dolore sia un tiranno più riprovevole della morte stessa. Niente nella sua visione, se non la morte, avrebbe potuto sottrarre la figlia da quella miserabile condizione derivante dalla malattia.