Fiorenza Rancilio uccisa dal figlio con un manubrio da palestra, dubbi sull’incapacità del 35enne
Si sta tenendo davanti alla Corte d'Assise di Milano, presieduta dalla giudice Antonella Bertoja, il processo a carico di Guido Pozzolini Gobbi Rancilio, imputato per l'omicidio della madre Fiorenza Rancilio. Il 13 dicembre 2023 il 35enne avrebbe colpito alla testa l'anziana, ereditiera di una nota famiglia di immobiliaristi, con un manubrio da palestra nella loro abitazione di via Crocefisso, nel pieno centro della città. Stando a quanto emerso con la consulenza psichiatrica disposta dalla pm Ilaria Perinu e affidata allo psichiatra Raniero Rossetti, il 35enne al momento del fatto aveva un'incapacità totale di intendere e volere, così come sostiene anche la difesa di Guido Rancilio. Di diversa opinione sono, invece, i consulenti nominati dalla parte civile, secondo i quali al massimo si potrebbe parlare di seminfermità. La Corte stessa ora dovrà valutare se disporre una perizia psichiatrica.
L'omicidio di Fiorenza Rancilio, un "ostacolo da eliminare"
Fiorenza Rancilio era stata trovata senza vita nella mattinata del 13 dicembre 2023, dopo che i dipendenti delle aziende immobiliari che hanno sede nello stesso palazzo dove viveva si erano allarmati non vedendola arrivare in ufficio. Il corpo della 73enne era disteso nel salotto di casa, sotto una coperta e alcuni asciugamani, e al cranio presentava una ferita mortale.
Stando a quanto ricostruito dalle indagini, a colpirla con un manubrio da palestra sarebbe stato suo figlio, Guido Rancilio, che viveva con lei nell'attico. A partire dal 2014, il 37enne era stato ricoverato tre volte in psichiatria in quanto affetto da una forma di "schizofrenia paranoide". Secondo il consulente della Procura, il dottor Rossetti, al momento dell'omicidio l'uomo era mosso da una persecutorietà estremamente precisa verso la madre che era vissuta come un ostacolo ma anche da pietà verso di lei". Per l'accusa, infatti, il 37enne "odiava" la madre e la "voleva eliminare".
"Grado di controllo che stride con quanto descritto dalla Procura"
Le conclusioni della consulenza psichiatrica della Procura sono condivise dall'esperto nominato dall'avvocato di Guido Rancilio, Francesco Isolabella, ma non dai familiari della vittima che si sono costituiti parte civile. I legali Salvatore Pino e Federico Cecconi, con i professori Stefano Ferracuti (Università La Sapienza) e Giuseppe Sartori (Università di Padova), sostengono che il 37enne non fosse affetto da vizio totale di mente al momento dell'omicidio.
Per gli esperti, il fatto che Guido Rancilio avesse "ripulito minuziosamente le tracce di sangue", dimostrerebbe "un grado di controllo che stride con lo stato di disorientamento descritto nella consulenza della Procura e di avere compreso il disvalore di quello che aveva fatto". Inoltre, prima dell'omicidio il 37enne avrebbe assunto alcol per far abbassare la sua capacità di intendere e volere che "era grandemente scemata, ma non esclusa".
Il fatto che fosse ubriaco lo avrebbe riferito un testimone, ma non è stato confermato da un esame tossicologico. Questo, sostengono gli esperti della parte civile, "cambia la prospettiva dal punto di vista medico-legale". Il rischio che le persone affette da schizofrenia commettano reati, sono "una percentuale di poco superiore alla media della popolazione", ma aumenterebbe "con il consumo delle sostanze". Quando Roncilio era arrivato al Policlinico di Milano, gli era stata diagnosticata una "intossicazione da sostanza ignota" e l'eloquio "biascicato e rallentato". Non sarebbe stato sottoposto a test tossicologico, ma solo alla lavanda gastrica.