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Fino a 4mila euro di affitto per una stanza: così il re della droga di Milano nascondeva la cocaina

Il “re” dello spaccio milanese Luca Calajo è finito in manette con altre 30 persone nell’ultima inchiesta della Direzione distrettuale antimafia: ecco come gestiva gli affari di droga in quattro quartieri di Milano.
A cura di Giorgia Venturini
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Non aveva bisogno di presentazioni Luca Calajo, ritenuto il "re" dello spaccio milanese e finito in manette con altre 30 persone nell'ultima inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Milano. Lui e gli altri indagati sono accusati, a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata al traffico (anche internazionale) di stupefacenti, riciclaggio, estorsione, detenzione e porto abusivo di arma da fuoco. E attorno a Luca Calajo, "rampollo" di una storica famiglia della malavita milanese, secondo gli inquirenti girava il business di stupefacenti a Milano: pare che coordinasse i rapporti con diverse di piazze di spaccio nei quartieri Barona, Gratosoglio, Quarto Oggiaro e Baggio.

Le manette per lui erano scattate la prima volta a dicembre del 1998 per spaccio, poi la lunga ascesa come leader del gruppo criminale che controlla lo spaccio di stupefacenti nella zona Barona. La fiducia da parte dei suoi uomini sarebbe massima. In una intercettazione si sente un suo fedelissimo dire: "Io voglio stare dietro di te, a fianco a te, con te! Ammazziamo tutti".

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Il traffico di stupefacenti

Il giro di affari di Luca Calajo, come si sentono nelle intercettazioni telefoniche, varrebbe almeno 15mila euro al mese. "A volte sì, a volte no (…) Se fai 3.400 euro che fai tu, muori di fame?", si sente dire a un suo collaboratore non identificato. Un giro di affari con sede in più vie della città: in più zone venivano allestiti i magazzini, che lui chiamava "castelli".

Calajo infatti gestiverebbe anche la parte logistica dell'organizzazione: "decideva chi e quale spacciatore doveva recarsi in un certo luogo al fine di svolgere operazioni di cessione dello stupefacente", sostiene la Procura.

Lui sarebbe stato sempre alla ricerca dei "castelli". Era sempre necessario "qualche cliente che prende merce, però seria, che ci possiamo fidare, che ci dà una stanza e la paghiamo 3-4000 euro al mese, gliela paghiamo la stanza". Ma soprattutto: "Deve essere fidato, capito? Lasciamo un mezzo pacco là, ogni 2-3 giorni andiamo e prendiamo 100 (…). Così abbiamo due postazioni e la rimane fisso".

I guadagni dello spaccio poi Calajo era pronto a investirli: progettava di aprire un'attività commerciale e di costituire una società attiva nel settore della ristorazione, allo scopo di "schermare" e "giustificare" gli enormi introiti derivanti dal narcotraffico.

La violenza contro i clienti debitori

A raccontare tutto al pubblico ministero è stata una delle fedelissime di Calajo che ha deciso di collaborare con la giustizia. La donna ha confermato durante il suo interrogatorio con il pubblico ministero Francesco De Tommasi che il "re" dello spaccio milanese utilizzava la violenza fisica quando doveva recuperare crediti o quando "dirimere contrasti legati al sodalizio criminale d'appartenenza".

Tra gli episodi violenti la collaboratrice di giustizia ha raccontato quello in viale Famagosta a Milano. Calajo raccontò quanto successo alla sua ex fedelissima: "Mi raccontò che una notte doveva incontrare un uomo che mi disse gli era debitore, senza meglio specificare né di quanto, né di che cosa, e durante questo cosiddetto chiarimento (per il mancato saldo) lo picchiò a sangue finché non cadde a terra battendo violentemente il capo".

E ancora: "A quel punto pare che quest'uomo cominciò ad avere delle convulsioni, lui si spaventò temendo che morisse, quindi prima di allontanarsi dalla scena chiamò un'ambulanza e si dileguò".

La collaboratrice racconta anche che durante la chiamata con Calajo, questo era spaventato per la presenza anche di un testimone: "Mi sa che c'è un testimone, che qualcuno ha visto e speriamo che non mi denunci. In seguito a questo episodio ricordo anche che mi disse che non rientrò presso la sua abitazione (…), ma per qualche tempo soggiornò in un albergo proprio per timore che lo andassero a prendere se quest'uomo poi fosse morto".

Le due fazioni con a capo zio e nipote

Luca Calajo non era l'unico leader dello spaccio milanese. Il suo più stretto rivale era lo zio Nazzareno Calajo. La zona di Barona infatti era infatti divisa in due fazioni criminali che vedevano al vertice infatti i due parenti.

La scissione era nata da divergenze relative a come condurre gli affari da parte dello zio Nazzareno che, a parere del nipote, "gestiva il proprio gruppo con metodi ritenuti obsoleti". Il parente più anziano, inoltre, secondo le indagini, avrebbe tentato di assodare tra le file del suo gruppo un uomo fedelissimo del nipote: Nazzareno Calajo aveva offerto all'uomo la sua protezione dopo le minacce che questo aveva da un esponente di una famiglia criminale legata alla cosca di ‘ndrangheta Flachi di Bruzzano e referente sul territorio con conto del clan Arena di Isola di Capo Rizzuto. Nonostante questa rivalità però entrambi i gruppi criminali erano riusciti a far crescere i loro affari di droga nei quartieri di Gratosoglio, Barona, Quarto Oggiaro e Baggio.

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