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“Finirà la solitudine”, chi c’è dietro i manifesti con cui è stata tappezzata Milano

Chi c’è dietro ai manifesti con cui è stata tappezzata Milano? Chi promette che “finirà la solitudine”? E chi ti risponde ai messaggi nella chat che si apre scannerizzando il qr code del manifesto? Fanpage.it ha incontrato Niccolò Bodini de La Scapigliatura, il gruppo di indie-pop che si cela dietro il progetto.
A cura di Filippo M. Capra
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Finirà la solitudine? A Milano c'è chi pensa di sì, e infatti toglie il punto di domanda. Finirà la solitudine. Questo si legge su centinaia di pareti comunali in cartelloni affissi da qualcuno che nutre grande fiducia per il futuro con la speranza di lasciarsi veramente alle spalle questo periodo di forte incertezza legato alla pandemia. Sul manifesto, bianco con scritte nere, c'è poi un piccolo qr code che, scannerizzato, rimanda ad una chat su Whatsapp dove si può interloquire con gli organizzatori del progetto.

Chi sono? La Scapigliatura, gruppo indie-pop originario di Cremona e cresciuto a Milano formato da Niccolò e Jacopo Bodini. Il progetto è certamente una mossa di marketing, ma anche un'idea nuova di promozione di un singolo (l'ultimo, appena uscito, "Gli indifferenti") basata sul confronto con i fan e le persone comuni. Un filo diretto che unisce artista e ascoltatore, entrambi cittadini di un mondo che non è più quello di un anno e mezzo fa. Fanpage.it ne ha parlato con Niccolò Bodini, voce de La Scapigliatura.

Com'è nata l'idea?

Abbiamo cercato soluzioni comunicative diverse per farci conoscere e tirarci fuori da questa solitudine. Ci sembrava bello poter parlare direttamente con chi leggeva la frase tratta dal nostro pezzo piuttosto che inserire il link di apertura a Spotify, perché alla fine la gente ci chiede se finirà la solitudine e solo ascoltando la voce registrata può non convincersene.

Che cosa vi scrivete con chi vi contatta?

C'è un bello scambio: la gente ascolta la canzone, ci scrive e ci ringrazia per l'idea. Quasi tutti ci chiedono: "Finirà davvero la solitudine?". Abbiamo voluto ritrovare un contatto diretto con le persone e poter parlare senza i ritmi e gli spazi ristretti di un palinsesto. È bello scoprire le persone.

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Ogni quanto tempo vi arriva un messaggio?

Circa ogni mezzora. Noi diciamo a chi ci scrive che la solitudine bisogna combatterla cercando di dare un po' di coraggio. Poi parliamo del brano, di quello che suscita a chi ci ascolta.

Nel pezzo parlate dell'indifferenza, rifacendovi a Moravia. C'è indifferenza alla cultura nel 2021?

Nella citazione di Moravia, gli indifferenti sono le persone cattive del mondo che da nobili decadono e se ne fregano degli altri. L'idea era quella di descrivere un contesto in cui non ci sentiamo rappresentati nonostante ci sia sempre la speranza che l'arte sopravviva a prescindere dal periodo.

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Cosa succede quando si risponde con indifferenza all'indifferenza?

Che te ne freghi di chi non ti calcola. L'indifferenza è come una droga. Quando si cresce è giusto pensare un po' di più a sé stessi, ma se si è bravi a gestire le situazioni della vita si capisce che si riceve quel che si dà. Io personalmente credo negli altri ma credo anche che della cultura non freghi un cazzo a nessuno: la politica non investe, eppure la gente ha bisogno di emanciparsi.

Che rapporto avete con Milano?

Personalmente è un rapporto passionale e come tutte le passioni c'è sia una componente nevrotica che ti consuma e una più voluttuosa che ti fa godere e ti seduce. Alla fine Milano è così: di giorno nevrotica, di notte godereccia. È come guardare un panorama dopo una salita.

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Voi siete cantautori che scrivono testi intrisi di cultura. Il cantautore resta fedele a sé stesso?

Resta fedele al modo in cui ti confronti con l'idea della canzone. Guccini diceva che quando i romani videro la giraffa e non sapevano come chiamarla la chiamavano cameloparda. E i cantautori sono quelli a cui non servono gli arrangiatori, chi gli scrive i testi, chi li compone. Credo che il mestiere del cantautore parta dal pensare una canzone prima di scriverla. L'arte è sacra e chi scrive una canzone punterà sempre a metterci dentro le cose che, a suo avviso, sono sacre. Dunque non potrebbe mai trattarla in modo diverso.

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