Filippo Campiotti, candidato Azione-Italia viva: “Non dobbiamo avere paura della sanità privata”
"Il rapporto tra pubblico e privato fa il suo dovere, ma è stato trascurato". Filippo Campiotti ha 29 anni, si è laureato in ingegneria al Politecnico di Milano e ora si candida per un posto da consigliere regionale in Lombardia con il terzo polo. Intervistato da Fanpage.it, ha parlato dei temi sui quali ha costruito la sua campagna elettorale: dalla sanità all'istruzione, passando per le infrastrutture, "che è il mio lavoro". Per la presidenza, Azione e Italia viva hanno scelto come candidata Letizia Moratti, ex vicepresidente della Regione nonché assessora al Welfare: "Ora però bisogna fare un discorso progettuale", afferma Campiotti.
Nel suo programma elettorale, Moratti parla di un sistema di premialità per gli ospedali. In cosa consiste e può contribuire a risolvere il problema delle liste d'attesa?
Si tratta di un sistema che può contribuire a risolvere il problema, ma è solo una parte della soluzione. Noi viviamo nel paradosso di avere delle strutture che sono oggettivamente di eccellenza, dove arrivano 180mila pazienti all'anno da fuori regione, ma che hanno delle falle enormi. Per esempio, se io vado a chiedere una prima visita oculistica me la danno tra un anno. Queste due realtà, dell'eccellenza e dei ritardi, convivono.
Il rapporto tra pubblico e privato, così come è stato istaurato, fa il suo dovere. Il problema è che è stato trascurato, per cui siamo in una situazione in cui il privato eroga le prestazioni che gli conviene e non quelle che servono alla comunità. Da questo punto di vista dobbiamo riequilibrare il rapporto, che sia davvero una collaborazione a rispondere di un'esigenza comune. Uno non deve prevalere sull'altro.
Poi c'è tutto un discorso di territorialità e di mancanza di risorse. È fondamentale, quindi, dare degli obiettivi alle strutture, chiedere delle prestazioni minime garantite annue.
Lei sostiene che bisogna "riaffermare il principio di competizione tra pubblico e privato", cosa intende?
Non dobbiamo avere paura del privato. Se questo meccanismo porta ad avere delle eccellenze, allora va bene. Il problema è che io, da cittadino, voglio poterne usufruire. Il sistema di oggi, che porta il privato a erogare le prestazioni che più gli convengono, ha generato il fatto che in Lombardia abbiamo il numero di cardiochirurgie dell'intera Francia. Solo perché sono le prestazioni più remunerative.
Lo stesso problema si presenta con i medici di base e gli infermieri. Ho degli amici che lavorano negli ospedali che se andassero a lavorare in cliniche private guadagnerebbero il doppio.
La vostra candidata Letizia Moratti ha avuto in mano il Welfare lombardo, perché non ha fatto quello che ora afferma di voler fare?
Sì, è stata assessore al Welfare ma in una condizione di emergenza. Era entrata durante il Covid e tutto quello che ha potuto fare è stato stressare il sistema, in senso buono. Cioè chiedere di più e in un certo senso c'è riuscita, perché ora le prestazioni che vengono fatte oltre il limite sono diminuite del 20 per cento. Ha messo in comunicazione i dati delle liste d'attesa tra gli ospedali, cosa che è assurda non sia stata fatta prima. E anche solo incrociarli ha permesso di diminuire, in parte, i ritardi.
È chiaro che la strada per i prossimi anni non può essere solo quella dello stress, bisogna fare un discorso progettuale. Non è possibile che ogni volta che si sta male si va al pronto soccorso, si deve alleggerire il carico anche per loro.
Il Covid-19 ha portato alla luce i problemi non solo della sanità, ma anche dell’istruzione. Secondo lei come si può intervenire sul sistema scolastico lombardo?
Il Covid ha mostrato come il sistema scolastico pubblico non ha alcun motivo di migliorarsi, se non la buona volontà e la vocazione di chi è coinvolto direttamente. Anche nella scuola, quindi, bisogna inserire un meccanismo di competitività buona, positiva, che permetterebbe di alzare il livello medio. Cosa che si può fare anche con la digitalizzazione, un'altra carenza che la pandemia ha evidenziato.
È un tema nazionale, ma si può fare qualcosa anche a livello regionale con una parificazione vera. Come ad esempio il bonus scuola, che dal 2010 al 2020 ha visto i suoi fondi dimezzarsi.
Cosa si può fare per favorire il passaggio degli studenti dal mondo della scuola a quello del lavoro?
Dal lato della formazione vediamo che funziona bene, tra l'80 e il 90 per cento dei ragazzi trova un impiego entro un anno, ma abbiamo un 9 per cento di Neets in più dal 2010 al 2020 e la situazione si sta aggravando. Innanzitutto, bisogna smettere di pensare che quella offerta dagli istituti tecnici sia un'istruzione di serie b, in realtà serve tanto quanto qualsiasi altra per far trovare a un ragazzo la propria vocazione nella vita.
Per l'inserimento nel lavoro abbiamo gli strumenti giusti, cioè tirocini e apprendistati, ma che vengono usati nel modo sbagliato. Oggi di fatto uno stage che ha un livello di retribuzione molto basso viene usato spesso come se i ragazzi fossero sotto contratto, quando invece dovrebbe essere formativo. Bisogna sì alzare il compenso, ma anche imporre un limite ad esempio sei mesi. Se non diamo una stabilità lavorativa ai ragazzi, loro non possono averla nella vita. E questo crea un mare di problemi.
Non si potrebbe vincolare un'azienda a impegnarsi a tenere un ragazzo che ha formato?
Si potrebbe pensare a un sistema di premialità per l'azienda. Cioè se tieni il ragazzo che ha fatto un tirocinio, ti avvantaggio. Ma non a un obbligo. Rischierebbe di ridurre l'offerta di stage. È giusto che un'azienda valuti se tenere un ragazzo o meno.
La Lombardia tornerà mai attrattiva come un tempo?
La Lombardia ha l'impianto per tornare ad essere la grande regione che è stata in passato. Bisogna risolvere problemi molto seri, come il costo della vita e il salario medio. I temi dell'abilità e della stabilità lavorativa stanno peggiorando. A me la cosa che più preoccupa è avere la stessa governance degli ultimi cinque anni, cioè il centrodestra che si ripropone uguale.
Il terzo polo, però, sta candidato una figura politica che ha costruito tutta la sua carriera nel centrodestra.
Qui entra in gioco l'onestà intellettuale di riconoscere una cultura politica che ha reso grande la regione. Dall'altra parte, però, bisogna ammettere che da dieci anni c'è qualcosa che non va, bisogna metterci le mani pesantemente. Moratti viene da quella cultura politica, ma riconosce che bisogna lavorarci.
Si ipotizza che possiate soffiare voti a Majorino, ostacolando così il tentativo di interrompere il governo Fontana. Dal vostro punto di vista, vi sentite più vicini al centrosinistra o al centrodestra?
Questa è una risposta che ognuno dovrebbe dare personalmente. Come terzo polo non ci sentiamo vicini né all'uno né all'altro, altrimenti non avremmo avviato un progetto politico nuovo. Se ci fosse stata una vicinanza si sarebbe fatta una coalizione. Ma qui c'è bisogno di portare un nuovo modo di fare politica.