Fabio Pizzul, candidato alle Europee: “Il Pd non esisterebbe senza la componente cattolica”
Consigliere regionale in Lombardia per tre legislature, Fabio Pizzul ha deciso di candidarsi per un posto nel Parlamento europeo ancora con il Partito Democratico. Nato in provincia di Gorizia, nel Friuli Venezia-Giulia, il politico e giornalista classe '65 vive sin dall'infanzia a Milano e nel suo hinterland. Negli anni ha ricoperto diversi ruoli nel partito, come quello di responsabile della comunicazione del gruppo e di membro di varie commissioni come quelle al Bilancio e alle Carceri. "La Lombardia non ha nulla da invidiare alle altre zone trainanti dell'Europa", ha affermato il candidato nella circoscrizione del Nord Ovest per il Pd a Fanpage.it, "ma penso che possa fare ancora di più per poter esprimere tutte le sue potenzialità. Se si iniziano a chiedere deroghe sugli obiettivi della lotta all'inquinamento, potremo solo arrivare al fallimento di qualsiasi politica che possa definirsi organica e innovativa".
Dopo anni in Consiglio regionale, perché candidarsi in Europa e non, per esempio, alle prossime amministrative a Milano?
Ci sono tre ragioni principali. Innanzitutto, facendo il consigliere regionale ho colto l'importanza dell'Europa per una regione come la Lombardia e tutto il territorio del Nord-ovest. Essendo giocoforza collegato alla dimensione europea, deve poter fare da ponte tra il Nord e il Sud Europa, e questo credo di averlo sperimentato in Consiglio regionale.
Secondo perché credo che la mia sia sempre stata una posizione di confine tra il Pd e altri mondi, come quelli associativi, del terzo settore, le cooperative. Mi piacerebbe dare anche questo contributo nella relazione con l'Europa. Il Pd deve aprirsi e sono certo sia utile che nelle liste ci siano posizioni diverse, culture e io lì dentro io sono interprete della cultura cattolico-democratica.
C'è ancora posto nel centrosinistra di oggi per una componente cattolica?
Assolutamente sì e anzi, credo che il Pd non esista senza quella componente perché è nato proprio per dare un luogo in cui possano confrontarsi e costruire percorsi assieme le diverse realtà. Io mi sento a casa, e come in tutte le case ci sono elementi di grande comfort e altri, magari, un po' più scomodi. Però rimane sempre una casa dove stare e starci bene.
Ha detto che l'obiettivo è fare del Nord Italia l'intermediario tra Paesi del Nord e e del Sud Europa. Ma la Lombardia è già all'altezza delle grandi realtà europee?
Dal punto di vista sociale ed economico, la Lombardia non ha nulla da invidiare alle altre zone trainanti dell'Europa, è uno dei quattro motori dell'Unione. Ad oggi, lo può essere a pieno titolo per quanto riguarda gli aspetti economici, sociali e culturali, ma dal punto di vista istituzionale c'è ancora molta strada da fare. Penso che ancora non si faccia abbastanza per fare in modo che la regione esprima tutte le sue potenzialità in ordine alla relazione con l'Europa e a quanto l'Unione può fare.
Per la sua campagna elettorale ha usato uno strumento particolare per rispondere alle domande degli elettori: l'assistente digitale con intelligenza artificiale ÈPizzul. È questo il futuro che ci aspetta? L'intelligenza artificiale sarà sempre più presente nelle nostre vite? L'Europa che ruolo può avere per la sua regolamentazione?
Credo che l'Europa abbia un ruolo fondamentale, tanto che il Parlamento Europeo ha approvato appena un mese fa la prima regolamentazione organica a livello mondiale sull'intelligenza artificiale. L'obiettivo non è demonizzarla, ma limitare gli utilizzi impropri, promuovere l'innovazione e tutto quello che può migliorare la nostra società e la vita quotidiana.
Ci sarà sempre più spazio per l'intelligenza artificiale. Tuttavia, anche con il mio assistente virtuale, creato grazie al lavoro di due studentesse del professor Davide Tosi dell'Università dell'Insubria, abbiamo voluto far vedere che può essere uno strumento molto utile, ma allo stesso tempo non potrà mai sostituire quella che è la dimensione umana del far politica. Il mio assistente, ÈPizzul, risponde in modo corretto ed equilibrato a tante cose, ma se lo si continua a interrogare dopo un po' diventa noioso, cosa che spero di non essere io dal vivo.
L'intelligenza artificiale non potrà mai competere non solo con chi fa politica, ma anche con chi lavora in un qualsiasi campo dove deve essere ancora più concentrato sull'originalità, sulla dimensione della relazione umana. In questo l'Europa dovrebbe avere un ruolo ancora più centrale nel regolamentare questi che sono aspetti della nostra vita, ed è l'unica istituzione che si può davvero confrontare con i grandi cambiamenti epocali e con i potenti dell'economia.
Cosa dovrebbe fare secondo lei l'Europa per riuscire in questo intento?
L'Europa intanto dovrebbe fare in modo che i singoli Stati si tolgano dalla testa la pessima abitudine di farsi concorrenza tra loro, mettendoli nell'ottica di creare le condizioni perché l'Unione sia davvero un mercato unico che integra le proprie forze, valori e risorse per stare a pieno titolo in un mercato internazionale, e in una realtà geopolitica, sempre più complicata. Una realtà che ha bisogno dell'Europa come protagonista in tutto, anche nella pace e nella democrazia.
In che modo l'Europa potrebbe garantire la pace? Ci sono pericoli esterni che possono, ad oggi, scardinare alcune certezze? Per esempio la Russia che spinge a est.
Il modo per contrastare la Russia al meglio è quello di istituire il prima possibile una politica estera comune, che attualmente non c'è. Gli Stati devono far sì che la competenza sulla politica estera sia data sulle tematiche legate agli interessi globali dell'Unione Europa e, come conseguenza, arrivare a una difesa comune che non è fatta solo di armi ed esercito, ma anche diplomazia, di cooperazione internazionale.
Quindi, secondo lei, quella dell'esercito comune è diventata una necessità?
Come parte di quella difesa comune articolata di cui parlavo. L'esercito serve in quanto esercito di pace che difende il diritto internazionale, e che non è minimamente portato a un'espansione di potenza dell'Unione Europa, che non ne ha proprio necessità.
Guardando ai programmi politici degli altri partiti, soprattutto nel centrodestra c'è chi sostiene che ci sia l'urgenza di rinviare alcune scadenze in termini di lotta all'inquinamento. Pensa che gli obiettivi che sono stati posti, per esempio per il 2030 e il 2050, siano irraggiungibili?
Gli obiettivi che sono stati posti sono di certo sfidanti e impegnativi, ma devono rimanere lì. L'Europa ha dimostrato, anche durante il Covid-19, di poter fare cose che nessuno si immaginava, a partire dal fare debito comune e grandi investimenti. Questi obiettivi fissati per la lotta all'inquinamento devono rimanere così, perché ci devono far fare un salto di qualità e l'Europa, come ha già detto Mario Draghi recentemente anticipando il suo dossier sulla competitività , deve investire grandi risorse perché la transizione ecologica è fondamentale, ma deve essere adeguatamente finanziata.
Chi sostiene che l'Europa voglia scaricare la transizione ecologica sulle spalle dei cittadini, dice una falsità. Che l'Unione debba aumentare i propri investimenti diretti, è chiaro, magari svolgendo anche verifiche durante il percorso per capire come riparare le proprie politiche e gli investimenti per arrivare il più vicino possibile a quegli obiettivi che ci siamo dati. Poi, magari, in corso d'opera potremmo scoprire che si sono altre tecnologie che possono aiutarci nel percorso.
Se iniziamo a dire che quei traguardi sono troppo difficili da raggiungere, allora inizieremo a darci deroghe come quelle che gli esponenti del centrodestra hanno chiesto in Lombardia. Questo non ci porterà da nessun'altra parte se non a fallire qualsiasi politica che possa definirsi organica e innovativa anche sull'ambiente.
Quindi l'Europa dovrebbe mantenere un pugno duro nella questione ambiente?
A me non piace il discorso del pugno duro, preferisco quella della responsabilità condivisa che chiama tutti a fare il meglio di cui sono capaci. Un massimo che non riguarda solo agricoltura, industria e società civile, ma soprattutto gli Stati membri che, ricordiamolo, intende raggiungere un obiettivo comune che non è ideologico, ma di sopravvivenza. Non dimentichiamoci che l'Europa e il Mediterraneo sono i territori che stanno vivendo le conseguenze primarie e più drammatiche del cambiamento climatico.
Cosa significa lo slogan ‘Europa bene comune' che ha usato per la sua campagna elettorale?
‘Europa bene comune' vuol dire che tutti noi dobbiamo sentirci parte di questo grande progetto, un progetto che pensa al bene di tutti noi. Per questo dobbiamo investire nell'Europa, nel concetto di identità europea e di cittadinanza europea, e soprattutto dobbiamo investire sul pilastro sociale dell'Unione Europa perché non è solo economia e politica, ma anche un'unione sociale. È lì che si può costruire davvero una cittadinanza europea di cui abbiamo un grande bisogno.
In quale modo si può costruire secondo lei la cittadinanza europea?
La coesione sociale si può raggiungere con un'attenzione in più verso i più fragili e con politiche migratorie che non siano di chiusura ma di costruzione di canali regolari. Soprattutto, però, dobbiamo sostenere e incrementare la possibilità di avere servizi sanitari universali. Dobbiamo promuovere questi valori già presenti nell'Unione Europea perché è quello che ci rende unici al mondo e che permette di avvicinare sempre di più il cuore dei cittadini alle istituzioni.