Espulso prima della sentenza del giudice: al Cpr di Milano negati di nuovo i diritti internazionali
La città di Milano ha un problema con chi richiede protezione internazionale. Chi deve presentare la domanda per ottenere l'asilo politico, per esempio, si scontra quotidianamente con le inefficienze del sistema di prenotazione degli appuntamenti: fino ad aprile 2023 abbiamo assistito alle interminabili code fuori dagli uffici della Questura di via Cagni.
Durante l'inverno, decine di persone sono state costrette a rimanere per ore al freddo e al gelo con il rischio di non poter presentare la propria istanza. Ad aprile poi è arrivata la decisione di creare un portale online per le prenotazioni. Il sistema però, dopo appena tre mesi, è stato inspiegabilmente bloccato dalla Questura di Milano.
La situazione del Cpr di Via Corelli
La situazione, se è possibile, è ancora più grave nel Centro di permanenza per i rimpatri di via Corelli dove da anni diverse associazioni mostrano le condizioni in cui le persone sono costrette a vivere: cibo scadente, abuso di psicofarmaci e persone lasciate sole a marcire in spazi angusti.
Per questo motivo, molti trattenuti compiono atti autolesionistici, tentano il suicidio e innescano proteste. In questi centri i giornalisti e le associazioni difficilmente riescono a entrare e, con loro, anche i diritti e la legalità. Ne è un esempio la storia, avvenuta in questi giorni, di un uomo, per il quale la legale Simona Stefanelli dieci giorni fa ha presentato ricorso contro il decreto di espulsione.
L'uomo espulso prima della decisione del giudice
L'avvocata ha raccontato a Fanpage.it che il suo cliente, nonostante il giudice di pace non si sia ancora espresso sul ricorso, sarà comunque portato alla frontiera per essere rimpatriato.
"Non è la prima volta che succede. Nonostante ci sia un ricorso in atto e nonostante sia stata già fissata l'udienza di convalida, dal Cpr hanno comunque deciso di portare il trattenuto alla frontiera senza aspettare che il giudice si esprima al riguardo", spiega Stefanelli.
"Ognuno di loro ha il diritto di presentare, entro trenta giorni, un ricorso contro il decreto di esplosione. Per il mio cliente tornare nel suo Paese d'origine, è un rischio: ha richiesto un prestito piuttosto elevato per aiutare i genitori ed è partito proprio perché è stato picchiato".
E questo non è l'unico caso al limite della legalità che l'avvocata sta trattando: "Proprio ieri sono entrata al Cpr per un colloquio con un altro cliente che si trova lì in attesa di rimpatrio, ma che ha presentato richiesta di asilo politico. Senza essere stata avvisata, mi sono ritrovata con lui nella commissione territoriale che era stata convocata proprio per valutare la sua istanza di protezione internazionale. Partecipare alla commissione è un mio diritto, ma se non mi fossi trovata lì forse non lo avrei saputo".
"Ero al centro proprio per avere un colloquio con lui perché, prima di ieri, non lo avevo mai incontrato: non conoscevo la sua storia e la sua condizione. Inoltre, nel suo caso, proprio perché aveva chiesto l'asilo politico, l'espulsione e il rimpatrio avrebbero dovuto essere sospesi".
"Queste modalità non fanno che confondere queste persone che si ritrovano in queste commissioni senza un avvocato che possa aiutarli e che possa spiegare loro quali siano i loro diritti. Questi esempi dimostrano come non venga riconosciuto loro un diritto di difesa che, come sappiamo anche nei casi di persone straniere, è garantito costituzionalmente. A mio parere, il loro sembrerebbe un modo per buttare la gente fuori illegalmente senza rispettare i loro diritti".