A 17 anni ha sterminato la sua famiglia. Lo ha fatto utilizzando con tutti un unico coltello, lo stesso che i carabinieri gli hanno trovato ancora tra le mani quando sono intervenuti.
Dopo essersi recato in cucina per recuperare l’arma avrebbe colpito prima suo fratello minore, 12 anni, mentre dormiva, con molti colpi, sembra più di quelli necessari ad ucciderlo. Il bambino probabilmente si sarebbe svegliato durante l’aggressione, richiamando l’attenzione dei genitori che sarebbero corsi nella camera da letto per soccorrerlo. A quel punto i colpi sarebbero stati riservati a sua madre che si è accasciata a terra e quindi avrebbe rivolto l’arma contro il padre.
“Non c’è un motivo per cui li ho uccisi. Mi sentivo un corpo estraneo alla mia famiglia. Oppresso. Ho pensato che uccidendoli tutti mi sarei liberato da questo disagio”.
Un disagio che cresceva dentro, fino ad essere percepito come inaccettabile, un disagio che viene proiettato sugli altri componenti della famiglia, padre madre e fratellino, per cui l’unica soluzione per stare meglio, per eliminare quel disagio, è ucciderli.
Ancora una volta un figlio che arriva ad uccidere i suoi genitori, a sterminare la sua famiglia.
Ancora una strage le cui modalità omicidiarie sono quelle dell’overkilling, dell’uso cioè, nella fase dell’aggressione e dell’uccisione di una quota di violenza eccessiva, che va oltre la finalità morte. Una violenza cieca, infinita che sottende un desiderio di distruzione e di annientamento.
Stragi queste compiute prevalentemente da figli in età adolescenziale in assenza di motivazioni che possano apparire giuridicamente e moralmente accettabili.
Stragi premeditate, poste in essere con distacco emotivo alle quali spesso seguono goffi tentativi di depistaggio.
Quella di Paderno Dugnano è una strage che inevitabilmente richiama alla mente la strage di Novi Ligure, quando cioè, nel 2001 Erika De Nardo ed il suo fidanzatino Omar Favaro, di 16 e 17 anni, uccisero con freddezza e senza pietà la mamma ed il fratellino undicenne di Erika. Anche in quel caso un delitto premeditato, compiuto utilizzando due grandi coltelli da cucina, a seguito del quale Erika sostenne la tesi dell’aggressione da parte di persone straniere che si erano introdotte nell’abitazione. Un’aggressione alla quale lei era riuscita a scampare. Vennero ritenuti entrambi capaci di intendere e di volere.
Avevano ucciso, dissero, per poter essere liberi di fare quello che volevano.
Omicidi che vengono commessi, lo abbiamo detto, prevalentemente da figli adolescenti, figli che attraversano il periodo più complesso della vita dell’individuo, una fase caratterizzata dal profondo conflitto tra il bisogno di autonomia e la dipendenza (spesso non sana) dalla famiglia di origine.
La transizione adolescenziale ha come compito principale la costruzione dell’identità di sé, divenendo così una sorta di terra di nessuno in cui l’individuo inizia a definirsi, strutturando la propria identità, in un continuo confronto con la realtà esterna e con le figure di riferimento genitoriali.
La fase transitoria dell’adolescenza è una fase che richiede un riadattamento di tutto il sistema familiare di origine, che dovrebbe riuscire ad essere in grado di riadattarsi in base alle esigenze dei suoi componenti e alla variazione dei ruoli. Solo in questo modo può avvenire una differenziazione sana dalle figure genitoriali, in un processo di definizione del sé. Se il sistema non riesce ad adattarsi o viene percepito incapace di farlo, può diventare opprimente, di ostacolo, ed ecco che l’omicidio dei genitori può essere visto come uno strumento di liberazione dal controllo genitoriale che viene percepito come opprimente da un punto di vista identitario (di sviluppo e definizione della propria identità). Se non riesco a definirmi rischio di scomparire, di non esistere, per esistere devo eliminare la fonte delle mie sofferenze.
Spesso le motivazioni che sottendono queste azioni sono riconducibili ad un bisogno di gratificazione immediato, a tendenze interpretative, all’incapacità di sentirsi parte di quel sistema famiglia che dovrebbe essere al contrario percepito come accogliente e supportivo o ad un sentimento di ingiustizia che potrebbe essere anche solo percepita.
L’uccisione dei genitori o dell’intera famiglia è sempre da intendersi collegata ad un disagio psichico, di cui è necessario comprendere la natura e l’entità, un disagio che non sempre esclude la capacità di intendere e di volere di chi ha posto in essere l’azione criminale.
In questo specifico caso, come in quello di Erika ed Omar, sembra che alla base della strage vi sia la volontà di eliminare ciò che è stato percepito come un ostacolo alla propria realizzazione. Se Erika ed Omar avevano dichiarato di aver ucciso per fare quello che volevano è come se questo ragazzo ci stesse dicendo di aver ucciso perché pensava che così avrebbe potuto essere chi voleva.