Enzo Iacchetti dona un’ambulanza alla Croce Rossa: “Nel lockdown ero scioccato e ho voluto rendermi utile”
Enzo Iacchetti è figlio della tradizione cabarettistica dello storico Derby Club, per 30 anni è stato al fianco di Ezio Greggio e si è costruito una carriera artistica che lui stesso definisce "di grande dignità" tra cinema, televisione, teatro e musica. Il primo dicembre l'attore cremonese, ma milanese d'adozione, sarà a Bergamo, dove avverrà la consegna ufficiale dell'ambulanza alla Croce Rossa comprata con il denaro ricavato dalla vendita della sua ultima opera, Non è un libro: "Ora ho il raffreddore e qualche colpo di tosse ogni tanto, ma vivo o morto ci sarò".
L'1 dicembre ci sarà la consegna al Comitato di Bergamo della Croce Rossa dell'ambulanza acquistata con i ricavi delle vendite del suo libro. Come le è venuta questa idea?
Durante il primo lockdown ero scioccato, ero caduto in uno stato catatonico perché non riuscivo a capire cosa stava succedendo, avevo una paura terrificante. Scrivevo i miei pensieri sui post-it e li appiccicavo ovunque in casa, ho creduto che fosse la fine. Tra quei fogliettini ce n'era qualcuno carino e li ho messi insieme in un libretto di 70 pagine. Si intitola Non è un libro proprio perché di solito non sono così brevi, ma il mio stile è la sintesi.
Abitavo vicino all'ospedale Niguarda e non dormivo dalle ambulanze che arrivavano a sirene spiegate ogni tre minuti. Non mi servono i soldi, non me ne frega niente. Sono uno a cui non è mai piaciuta neanche la macchina bella, non ho vizi. Finalmente ho scritto un libretto che è stato utile con pensieri che avrei buttato via, l'ho stampato e distribuito nelle piazze. L'ambulanza è dei fan di Iacchetti, poi Enzo ci ha messo la faccia.
Quanto tempo ha impiegato per raccogliere abbastanza fondi?
Ci ho messo due anni perché un'ambulanza costa più di 90mila euro. Le offerte del pubblico sono state generose e tutto quello che ricevevo lo davo al responsabile del comitato locale della Croce Rossa che il giorno dopo faceva il versamento. Molti davano proprio poco, ma mi sono reso conto che non tutti possono comprare un libro a 30 o 20 euro. Anche perché il mio è piccolo. Quello di Bruno Vespa ha 500 pagine, ma forse il mio che ne ha 70 e più gradevole. Vabbè, questa è una battuta da Striscia la Notizia.
In tutto abbiamo venduto 6mila copie. Lo avessi pubblicato con una casa editrice mi avrebbero steso un tappeto rosso, ma sarebbe stato difficile far passare alcuni pensieri. Alla fine mi sono immaginato tutti questi poveri cristi morti che sfidavano a duello la comunità scientifica e gli opinionisti tv. Ma è una cosa che forse mi avrebbero tagliato, e allora ho fatto da solo.
Quei tempi sembrano lontanissimi ormai. Il mondo dello spettacolo era tra i settori più in difficoltà a causa delle chiusure. Ora si è ripreso?
Si pensa sempre che chi fa spettacolo, chi fa arte, non lavora veramente. Ancora oggi, dopo 50 anni di carriera, c'è qualcuno che mi chiede: ‘Ma tu lo fai per mestiere?'. Certo che lo faccio per lavoro, per farmi vedere in faccia ci sono ore e ore di prove, di spettacoli, di televisione.
In quei mesi anche i politici hanno pensato: ‘Questi sono artisti, ci sono altre priorità'. Probabilmente è vero, l'artista in qualche modo se la cava sempre, però poi ci sono gli attrezzisti, gli elettricisti, gli operatori. Molti hanno cambiato mestiere e ora non si trovano più queste figure professionali perché si sono licenziati, hanno cambiato lavoro.
Lei non ha mai nascosto la sua fede nerazzurra. Anzi, con la complicità di Ezio Greggio è diventata base per numerosi sketch. Le piacerebbe vedere l'Inter giocare in uno stadio nuovo o preferirebbe rimanere a San Siro?
A San Siro tutta la vita. Non ha senso spendere soldi per fare uno stadio di 40mila posti quando al Meazza per tutte le partite hai 70mila persone allo stadio. Va un po' rimodernato, ma non così tanto. È talmente sacro che cambiarlo è da irresponsabili. So che l'Inter è abbastanza intenzionata a trasferirsi, ma secondo me è una sciocchezza e posso dirlo anche a Marotta, a Zhang e a Zanetti (rispettivamente a.d., presidente e vicepresidente dell'Inter, ndr).
Non cambiate San Siro perché è la casa dei colori nerazzurri. Poi ogni tanto ospitiamo i cugini, ma va bene così. E poi quando lo facciamo questo stadio? È come il ponte di Messina, non serve a niente, ci sono cose più importanti.
Secondo lei il Comune dovrebbe insistere di più per trattenere le due società?
Sì, ma io non so perché hanno questo entusiasmo. Se chiedi agli ultrà della Curva Nord, che poi sono quelli che si fanno il mazzo che seguono la squadra in ogni dove che prendono freddo che cantano in continuazione che pagano il biglietto, se devono andare a Rozzano vedere la partita ti sputano, non ne vogliono sapere.
Anche perché l'interista la partita la guarda sempre. Se aggiustano San Siro lo possono far diventare anche da 80mila posti e in tutte le partite ci sarebbero 10mila persone in più.