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Emergenza suicidi nelle carceri, parla la garante dei detenuti: “Col Covid è peggiorato tutto”

Dall’inizio dell’anno sono tanti i suicidi nelle carceri. La situazione è peggiorata con la pandemia. A Fanpage.it spiega quello che sta accadendo la garante dei detenuti del carcere di Canton Mombello a Brescia.
A cura di Giorgia Venturini
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In Italia da inizio anno i suicidi nelle carceri, come riporta il dossier "Morire in carcere", sono stati 12. Ad amplificare il problema nelle carceri è stata la pandemia che ha azzerato le attività e ha reso impossibili le necessarie quarantene. Perché tutte queste morti? E come è possibile prevenirle? Ha spiegato tutto a Fanpage.it Luisa Ravagnani, garante dei detenuti del carcere di Canton Mombello a Brescia.

Cosa vuole dire essere un detenuto in tempo di pandemia?

Il carcere non è più come prima la pandemia. I detenuti vivono la carcerazione in modo molto più pesante: in carcere le attività si sono ridotte per paura dei contagi e arrivano sempre meno spese o altri genere di confort da fuori perché i famigliari si trovano più in difficoltà economica. Molti a causa della pandemia hanno perso il lavoro. Non c'è più quell'osmosi che c'era prima del 2020 con il territorio: in pochi da fuori entrano in carcere per aiutare a svolgere qualche attività e viceversa.

C'è poca attenzione verso le condizioni psicologiche dei detenuti?

Sì, perché chi prepara le direttive anti Covid per il carcere forse non sa cosa vuol dire mantenere le mascherine tutto il giorno qui. La quarantena in cella non è come essere isolati in un appartamento, anche piccolo. In carcere la convivenza è forzata e permanente. La maggior parte dei detenuti vivevano prima della pandemia con le sbarre aperte dalla mattina alla sera: possono entrare e uscire impiegando il loro tempo a fare cose costruttive. Si perde anche l'intimità del bagno: con la cella aperta e con il rispetto l'uno con l'altro una persona poteva avere un minimo di riservatezza. Con la pandemia e con le quarantena si è azzerato tutto.

Una condizione che ha contribuito ai tanti suicidi in carcere?

Anche. Queste condizioni si uniscono a tanti altri problemi. L'accumulo di tanti problemi può portare al suicidio. Durante la pandemia le persone in carcere non hanno uno sguardo sul futuro, senza qualcuno che si interessa realmente delle condizioni dei detenuti. Mancano le risposte alle tante domande. Il peggio del peggio è questo sentore di misure che dovrebbero arrivare per aiutarli ma che alla fine non arrivano mai, come la liberazione anticipata speciale. Tanto promessa ma mai attuata. Eppure da due anni parlano di necessità di riconoscere lo sforzo fatto in carcere durante il periodo pandemico ma poi non si fa nulla. I detenuti hanno bisogno di tutto tranne di illusioni. Questi problemi c'erano anche prima della pandemia ma in questi ultimi due anni sono stati accentuati. Non c'è più nulla da capire, ma da agire. Il quotidiano invece è l'abbandono totale.

Si può prevenire il suicidio per particolari detenuti?

Tendenzialmente i periodi più a rischio di suicidio sono il primo ingresso e il momento dell'arrivo della sentenza definitiva. Il primo ingresso perché l'impatto con il carcere è più devastante, hai consapevolezza di quello che ti sta per accadere. Mentre la sentenza in via definitiva ti dà consapevolezza di quanto tempo dovrai stare dietro a delle sbarre. Più la pena è alta più il rischio ovviamente aumenta. Poi ci sono tutti i problemi legati alla sfera affettiva del singolo individuo. Una brutta notizia legata alla famiglia fuori, come un lutto o una malattia grave di un proprio famigliare, è vissuta con un impatto emotivo più amplificato all'interno del carcere. Il detenuto non è a casa a vedere cosa sta succedendo e tutte le notizie gli arrivano in modo più dilatato nel tempo. Prendono consapevolezza che non sono riusciti a salutare il proprio famigliare: tutti elementi che incidono in modo grave sulla psicologia in carcere.

All'interno del carcere c'è l'aiuto psicologico?

Sì certo. Solitamente lo chiedono in molti, anche chi non soffre di patologie psichiche. Possono rifiutarsi, ma è molto difficile. È molto più facile che chiedano aiuto. Spesso quando faccio i colloqui con i detenuti mi dicono che vorrebbero parlare con uno psicologo ma non sono in lista perché non hanno problemi particolari. Loro vorrebbero solo avere qualcuno che li ascolti.

Le direzione dei carceri cosa fanno per prevenire i suicidi?

Ci sono una serie di protocolli che includono anche una formazione specifica sul tema: ovviamente però se un detenuto vuole togliersi la vita il modo lo trova.

Le modalità sono sempre le stesse?

Solitamente si impiccano con le lenzuola del letto: le agganciano al letto più in alto o alle sbarre delle finestre. Tendenzialmente si suicidano con impiccagione. Poi può succedere di tutto. Chi cerca di fare un tentativo di autolesionismo che purtroppo però finisce in tragedia, spesso ingoiando le lamette. Chi invece si tiene da parte le pastiglie che doveva prendere quotidianamente e le ingoia tutte una sola volta. Le modalità sono di ogni tipo.

Di solito chi sono le persone che arrivano al suicidio?

Spesso si trattano di ragazzi giovani o di stranieri. Gli stranieri perché spesso hanno difficoltà a farsi capire. Sentono di essere discriminati dagli altri detenuti e dagli agenti. Poi magari non è vero, ma basta la percezione. Derivata anche da una situazione passata. Poi però c'è tutto il capitolo della discriminazione sostanziale: è un dato di fatto che gli stranieri usufruiscono molto meno delle misure cautelari sul territorio. A parità di reato l'indagato in attesa di una decisione del giudice sta in carcere perché magari non ha un domicilio di riferimento. Così come la misura alternativa: il compagno di cella italiano che ha risorse sul territorio magari esce, mentre il detenuto straniero no ma semplicemente perché non ha una casa. Anche se il reato è meno grave e hai una condotta perfetta. Bisogna intervenire il prima possibile.

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