Non è tanto l'evasione in sé, che pure – come ha detto il cappellano del Beccaria, Don Claudio Burgio, a Fanpage.it – "è stata una fuga da loro stessi", quanto i luoghi e le situazioni in cui sono stati ritrovati i sette ragazzi evasi il giorno di Natale dal carcere minorile a imporci di dover fare una (seria) riflessione sulle pene per i minori.
Se avessero voluto semplicemente evadere, avrebbero poi deciso di darsi alla latitanza e far perdere, realmente, le proprie tracce. Questo farebbe (e di solito fa) un delinquente che vuole sottrarsi alla detenzione. Uno di loro, invece, appena superato il muro di cinta del carcere è andato dalla sorella, che poi lo ha convinto a riconsegnarsi. Un altro, di 17 anni, dalla zia. Uno perfino dalla suocera e, forse, neanche questa scelta appare così lontana: probabilmente quello era il posto in cui ci sono le persone con cui si sentiva più "in famiglia".
Rispetto a quanto farebbe qualsiasi altro delinquete evaso dal carcere, i ragazzi del Beccaria sono tornati dalle loro famiglie o da quella parte di famiglia in cui si sentivano più "a casa". E non hanno neanche scelto quei familiari che sarebbero stati più facilmente disposti a coprire la loro fuga, visto che molti di loro sono stati convinti (non costretti con la forza) a riconsegnarsi proprio da quelle persone a cui chiedevano rifugio. Un rifugio morale che, in qualche modo, hanno pure trovato.
Soltanto uno di loro, anche lui diciassettenne, non è tornato dalla famiglia, ma è stato arrestato dalla compagnia dei Carabinieri di Sesto San Giovanni mentre era in piazza Marinai d'Italia e, in compagnia di alcuni amici, stava ascoltando musica da una cassa bluetooth. Non proprio la scelta più furba per chi è ricercato dopo un'evasione, chiunque avrebbe potuto vederlo e riconoscerlo. E, infatti, una telefonata anonima ha informato i militari della sua presenza lì. Ma di sicuro anche questa una scelta di conforto. Un ritorno in un contesto che, seppur amicale, spesso sostituisce la famiglia.
"Abbiamo pensato subito che sarebbero tornati a casa – spiega a Fanpage.it il Procuratore dei minori di Milano, Ciro Cascone – perché il loro è sicuramente stato un gesto impulsivo, dettato da rabbia. Sicuramente non c'era un progetto di latitanza, quanto la volontà di correre dalle uniche persone con cui hanno un legame affettivo, a maggior ragione il giorno di Natale in cui si sente ancora di più la mancanza degli affetti".
"A dispetto di quanto dicono, – continua – noi abbiamo una popolazione carceraria minorile molto poco numerosa, perché il carcere, soprattutto per i minori, deve essere l'extrema ratio. Tuttavia il carcere deve essere anche l'avvio di un percorso di ricostruzione e quindi deve esserci una collaborazione anche con l'esterno, ad esempio con le comunità che invece sono ancora poche. Quanto successo al Beccaria ci mette di fronte a un sistema sul quale non si è investito granché".
"Vanno incrementati gli spazi, che ad esempio al Beccaria non riescono a usare a causa dei cantieri aperti da decenni, e le attività. E – aggiunge Cascone – forse queste vanno aumentate ancor di più in un giorno come Natale, quando fisiologicamente si riducono e i ragazzi si sentono ancora più abbandonati per la loro condizione. Se la detenzione non è vista come progetto di recupero, consegneremo questi ragazzi al mondo della delinquenza adulta. Ma, come società, ci conviene?".
Molti degli evasi, poi, erano prossimi a uscire dal carcere per aver saldato il loro debito con la giustizia: a uno di loro mancava addirittura pochi giorni, visto che sarebbe stato scarcerato ai primi di gennaio. E, anche da questo punto di vista, non sembra proprio la scelta più convenienti quella di evadere a pochi giorni o a poche settimane dalla fine della pena, con il rischio, molto elevato (come infatti sta succedendo), di essere arrestati di nuovo e di dover rispondere anche di un altro reato.
Ed è per questo che non tanto la fuga ma i luoghi e le situazioni in cui sono stati ritrovati i ragazzi evasi dal Beccaria ci impone di ripensare le pene, che – è bene ricordarlo – se per tutti, secondo la nostra Costituzione, dovrebbero avere uno scopo più riabilitativo che punitivo, questo deve essere ancora più vero, anche per banali questioni anagrafiche, per i minori. Ma soprattutto è per questo che appare quantomeno miope pensare di risolvere il problema unicamente "mettendo in sicurezza tutte le carceri italiane", come ha proposto il leader della Lega Matteo Salvini.
Il punto non può e non deve essere soltanto impedirgli di fuggire, a maggior ragione se per ritornare nel giorno di Natale dalle loro famiglie, ma fargli vivere la condanna come un'opportunità di riabilitazione da cui non voler fuggire.