Dottoressa aggredita e minacciata con la pistola in ambulatorio nel Milanese: “Ero certa di morire”

Parla Beatrice Tagliavini, la dottoressa che ha denunciato di essere stata rapinata e minacciata con una pistola nel suo ambulatorio a San Giuliano Milanese.
A cura di Chiara Daffini
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Beatrice Tagliavini
Beatrice Tagliavini

Beatrice Tagliavini è medico da più di 35 anni e oggi opera nella medicina generale, seguendo due ambulatori convenzionati con il Sistema sanitario nazionale a San Giuliano Milanese, in provincia di Milano. Nei giorni scorsi la donna ha denunciato di essere stata vittima di una aggressione con rapina. Si trovava nel suo ambulatorio e con lei c'era una paziente. "Ho avuto la certezza di morire", racconta a Fanpage.it

Che ricordi ha di quel giorno?
"Era il pomeriggio del venerdì, quindi giorno di chiusura, alle 14, la fine dell'orario di lavoro. Stavo finendo di compilare alcune ricette per una paziente, quando ho sentito suonare il campanello dello studio. Credendo fossero altri pazienti arrivati in ritardo, ho chiesto alla paziente di aprire la porta nell'atrio. Quando è tornata nello studio mi ha detto che c'erano due tipi strani, allora mi sono alzata per controllare e subito ho visto un uomo sulla quarantina".

Poi cos'è successo?
"Questa persona è entrata con una pistola in mano e me l’ha puntata addosso, mi ha fatta ritornare nel mio ambulatorio e da lì ha incominciato a dire ‘Questa è una rapina' e ‘Io ti ammazzo'. Continuava a ripeterlo, puntandomi la pistola alla testa e buttandomi quasi giù dalla sedia".

E la sua paziente?
"La mia paziente era al di là del tavolo e anche lei era piegata davanti al muro, l'altro uomo le aveva puntato una pistola contro e la stava obbligando a dargli tutti gli oggetti che aveva con sé. Le ha strappato gli orecchini e a me nel frattempo l'altro uomo ha strappato una catena che avevo al collo. Poi hanno portato via borse dello studio e oggetti vari che erano sul sul tavolo. La mia impressione è che abbiano agito in modo mirato".

In che senso?
"Sapevano esattamente dove andare, come entrare, hanno puntato dritti al tavolo. Io non li avevo mai visti, ma erano a volto scoperto".

Come è finita?
"Innanzitutto non hanno premuto il grilletto per sbaglio, cosa che temevo profondamente dal momento che soprattutto l'uomo che mi puntava la pistola era molto agitato nervoso, tremava. Anche se ci avevano derubate è stato un grande sollievo quando sono spariti senza dire nulla. Ci siamo alzate, la paziente ha chiuso la porta e ci siamo abbracciate per pulirci da quella paura".

Dovete averne avuta tanta entrambe.
"Io ho avuto la certezza di morire. Continuavo a pensare che se quella pistola era vera l'uomo che me la stava puntando sicuramente mi avrebbe ammazzata, perché era del tutto fuori controllo".

Poi avete denunciato?
"Sì, ci siamo affacciate alla finestra dello studio, che dà sulla strada, chiedendo aiuto, e da lì sono arrivati poi i carabinieri".

Era la prima volta che si trovava in pericolo durante il lavoro?
"Ho avuto altre aggressioni, molti anni fa, quando lavoravo in pronto soccorso. In quel caso erano pazienti che venivano a minacciare".

Infatti si parla sempre più spesso del rischio che ogni giorno corre chi opera nelle professioni sanitarie.
"Vorrei lanciare un messaggio che sicuramente verrà accolto dai colleghi: di riunirci, di lavorare insieme in posti più ampi, magari ambulatori condivisi, per non essere soli e avere intorno persone che ci possano aiutare, perché oggi dobbiamo avere a che fare con un'umanità molto diversa rispetto a quella di anni fa".

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