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Dipendente incinta non viene pagata con regolarità, l’azienda condannata: “Priorità a chi lavora”

Un’azienda di Bergamo è stata condannata a risarcire una lavoratrice incinta che non veniva pagata con regolarità. Il datore di lavoro le aveva detto: “Prima si pagano i lavoratori presenti, poi quelli in malattia e solo alla fine le maternità”.
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Immagine di repertorio
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Una dipendente di un'azienda specializzata "nella produzione di prodotti in carta cartone" non veniva più retribuita con regolarità da quando aveva iniziato il periodo previsto dalle legge di maternità. Alle sue rimostranza, il dato di lavoro ha risposto: "Prima si pagano i lavoratori presenti, poi quelli in malattia e solo alla fine le maternità". Ora è stato condannato non soltanto a risarcirle le indennità arretrate ma anche il danno non patrimoniale sofferto "per aver vissuto il periodo della gravidanza, quello del parto e quello successivo alla maternità in uno stato di preoccupazione per la situazione economica che le ha impedito di vivere serenamente".

Lavoratrice discriminata perché incinta

Secondo quanto racconta BergamoNews, la donna ha iniziato a non essere più retribuita con regolarità da quando ha comunicato all'azienda di essere incinta e quindi di dover poi andare in maternità. Gli stipendi hanno iniziato ad arrivarle più tardi degli altri, in alcuni mesi saltavano del tutto e poi magari venivano recuperati accumulando ritardi su ritardi. Così la lavoratrice ha deciso di rivolgersi all'ufficio vertenze della Cisl.

Assistita dallo studio legale studio legale Venturati e Biffi di Treviglio, la donna ha presentato ricorso al Tribunale di Milano, che ha immediatamente riconosciuto la discriminazione rispetto al Codice delle Pari opportunità.

La sentenza del Tribunale

Il Tribunale di Milano ha facilmente riconosciuto la discriminazione sia determinata dell'irregolarità nei pagamenti e aggravata dall'affermazione del datori di lavoro che avrebbe detto alle donna "prima si pagano i lavoratori presenti, poi quelli in malattia e solo alla fine le maternità".

E infatti la giudice Paola Ghinoy nella sentenza ha scritto: "L’affermazione della società è assolutamente idonea a far presumere l’intento discriminatorio nei confronti della ricorrente che, in ragione del fatto che è lavoratrice madre in congedo obbligatorio, viene retribuita per ultima (o addirittura, nel caso, non viene retribuita), ponendola così, senza dubbio, in una posizione di svantaggio rispetto alla generalità degli altri lavoratori".

L'azienda è stata quindi condannata non soltanto a pagare tutto gli stipendi arretrati, ma anche a riconosce alla donna un risarcimento del danno "per aver vissuto il periodo della gravidanza, quello del parto e quello successivo alla maternità in uno stato di preoccupazione per la situazione economica che le ha impedito di vivere serenamente".

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