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Dipendente demansionato e “costretto a non fare nulla”: la banca dovrà risarcirlo per 500mila euro

La banca Credito Emiliano è stata condannata dalla Corte d’Appello di Milano a risarcire per quasi mezzo milione di euro un dipendente licenziato in modo illegittimo due volte e poi demansionato per anni.
A cura di Enrico Spaccini
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Foto di repertorio
Foto di repertorio

Un dipendente di Credito Emiliano per due volte, nel 2011 e nel 2018, era stato licenziato in modi che il Tribunale di Milano aveva stabilito fossero entrambi illegittimi. Tornato in filiale, però, al bancario sarebbe stata affidata una mansione più bassa rispetto a quella che aveva 15 anni prima. I giudici della Corte d'Appello milanese non hanno riconosciuto in questo atteggiamento da parte della banca un "attacco alla reputazione", ma piuttosto una "grave vicenda di demansionamento" che ha portato infine al riconoscimento a favore del dipendente di quasi mezzo milione di euro di danni.

Il demonsionamento e i licenziamenti illegittimi

Come riportato dal Corriere della Sera, il bancario fino al 2009 aveva il contratto di lavoro di livello più alto, appena sotto i dirigenti della filiale. Poi, però, gli sarebbe stato tolto il ruolo di coordinamento e gestione del personale fino a che nel 2011 è arrivato il primo licenziamento. In quel caso, il Tribunale aveva stabilito che il provvedimento preso dalla banca Credito Emiliano nei confronti del suo dipendente era illegittimo, ordinando quindi il reintegro nell'azienda.

Tuttavia, il bancario non sarebbe mai più tornato a svolgere il ruolo che aveva prima del 2009. Alcuni colleghi hanno riferito come per mesi "non faceva nulla", dato che aveva una causa aperta con la banca: "Non aveva compito, né incarichi assegnati". Nel 2018 è arrivato poi il secondo licenziamento, anche questo ritenuto illegittimo dal Tribunale.

Il risarcimento stabilito dalla Corte d'Appello di Milano

Nel comportamento adottato dalla filiale, il Tribunale non ha ravvisato "attacchi alla reputazione" o "isolamento sistematico" ai danni del dipendente. I giudici della Corte d'Appello, però, hanno riscontrato una "grave vicenda di demansionamento", a fronte anche di una "tendezionale volontà di chiusura" da parte del bancario. Credito Bancario è stata quindi condannata a corrispondere un risarcimento al lavoratore pari al 30 per cento lordo dello stipendio dal 2009 fino alla data della deposizione del ricorso, oltre a poco più di 70mila euro di danni non patrimoniali. La somma totale è di quasi 500mila euro.

"La sentenza della Corte d’Appello ribadisce che il rispetto della dignità del lavoratore e la tutela della sua professionalità non possono essere sacrificati", ha dichiarato Domenico Tambasco, l'avvocato che ha assistito il bancario nei processi, "sottolineando la gravità delle violazioni accertate e la necessità di politiche aziendali rispettose delle norme vigenti".

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