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Decreto Caivano, l’ex procuratore dei minori di Milano: “Non si può punire senza educare, è inutile”

Il 7 settembre è stato approvato il Dl Caivano pensato per contrastare la criminalità minorile. Il pacchetto di norme inasprisce le pene, ma non sembrerebbe prevedere interventi sul sistema di rieducazione e reinserimento sociale. “Il piano della prevenzione e quello di repressione devono camminare di pari passo altrimenti aspetteremo il prossimo caso eclatante di sangue per fare un altro decreto”, ha detto a Fanpage.it l’ex Procuratore di Milano Ciro Cascone.
A cura di Ilaria Quattrone
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Giovedì 7 settembre il Governo ha approvato il Decreto legge Caivano. Si tratta di una serie di norme che mirano a contrastare la criminalità giovanile. Dal Daspo urbano applicato ai ragazzini di 14 anni fino alle multe e al carcere per i genitori che non rispettano l'obbligo scolastico, le disposizioni previste puntano a un inasprimento di pene.

Il pacchetto di leggi ha per questo suscitato diverse polemiche perché non sembrerebbe prevedere norme di investimento per comunità, servizi sociali e operatori e sopratutto non sembrerebbe puntare in alcun modo sull'educazione e sul possibile reinserimento nella società dei ragazzi che commettono reati.

"Il piano della prevenzione e quello di repressione devono camminare di pari passo altrimenti aspetteremo il prossimo caso eclatante di sangue per fare un altro decreto", ha spiegato a Fanpage.it l'ex Procuratore per i Minorenni di Milano Ciro Cascone, oggi Avvocato generale presso la Corte d'Appello di Bologna.

Dottor Cascone, cosa pensa del Decreto legge Caivano? 

A mio parere il processo penale da solo non è in grado di prevenire i reati come vorrebbe, soprattutto quando parliamo di minorenni. Nel caso di devianze minorili o criminalità minorile è necessario fare riferimento a interventi su più piani che convergono su un unico obiettivo. È chiaro che tra questi interventi c'è anche il processo penale.

La prevenzione però si attua con la presenza educativa: serve un esercito sì, ma di insegnati ed educatori. È fondamentale incentivare la lotta alla dispersione scolastica. Attualmente questa, anche se sommersa e invisibile, è molto elevata ed è dannosa.

Un ragazzo che non va a scuola, non è abituato a pensare. E, se non pensa, agisce direttamente. Basta uno sguardo di troppo, magari anche frainteso e male interpretato, per arrivare ad aggredire l'autore di quello sguardo senza pensare.

Tutti i ragazzi devono essere accompagnati e abituati a pensare che è fondamentale per loro costruirsi un progetto di vita. Molti di loro non riescono nemmeno a capire cosa sia un progetto di vita, come inventarselo. Le famiglie e la scuola devono accompagnarli in questo.

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Cosa ne pensa quindi delle sanzioni, tra le quali il carcere, per chi non rispetta l'obbligo scolastico per i figli? 

Abbiamo alti tassi di dispersione scolastica, da qualcosa dobbiamo iniziare. Fino a quando (luglio 2023, ndr) lavoravo come Procuratore per i Minorenni di Milano, mi è capitato di chiedere ad alcuni dei ragazzi imputati: "Scusa, ma tu a casa con chi parli? Li vedi i tuoi genitori? Parlate?" e mi rispondevano di no. Questo significa che c'è qualche problema.

Questi ragazzi sono invisibili in famiglia perché, per ragioni varie (problemi, malattie, disoccupazione e altro), i genitori non riescono a vedere i figli.

Secondo me non serve la sanzione penale, ma una multa amministrativa pecuniaria o ancora perdita di benefici. Da qualche parte dobbiamo iniziare. Ripeto: neanche io sono convinto che sia questa la strada migliore, ma nel frattempo che ne individuiamo una più efficace, partiamo anche da quello.

Onestamente avere nel nostro codice penale l'articolo 731 che disciplina l'inosservanza dell'obbligo scolastico e prevedere un'ammenda di 30 euro mi sembra paradossale. È come dire: "Non vi preoccupate genitori che non succede niente". L'obbligo scolastico è fondamentale per tutti i ragazzi perché se li perdiamo a quell'età avremo adulti persi e con costi sociali molto più elevati.

Nessuno vuole portare via i figli alle famiglie. I ragazzi però vanno educati: deve farlo la famiglia innanzitutto, altrimenti deve intervenire lo Stato, che deve accompagnare i genitori. Per fare questo, bisogna investire risorse nei servizi sociali, nelle scuole e, in ultima istanza, nella giustizia minorile.

Inasprire le pene non rischia di aumentare il numero di ragazzi all'interno di carceri che sono già in sofferenza?

È necessario far funzionare le carceri perché sono una tappa fondamentale nel percorso di recupero di un ragazzo. Mancano carceri, ma soprattutto le comunità che sono molto più efficaci nel percorso di recupero. A Milano, per esempio, c'è capitato di dover aspettare quattro o cinque mesi per poter mandare un minore in comunità perché non avevano posti a disposizione.

Il sistema giustizia minorile d'Italia potrebbe essere efficace, ma non ha gli strumenti per funzionare. È necessario rinforzare le risorse del tribunale e delle procure, quelle destinate a carceri e comunità, quelle per la scuola, per i servizi sociali.

Il sistema della giustizia minorile italiana si è sempre basato sul principio "punire educando". Le due cose devono andare insieme, ma dobbiamo avere le risorse per farlo.

Il piano della prevenzione e quello di repressione devono camminare di pari passo altrimenti aspetteremo il prossimo caso eclatante di sangue per fare un altro decreto.

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