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Dalla rivolta in piscina senza reggiseno alla legge 164: il mese dedicato alla storia della comunità Lgbt+

Anche a Milano ad aprile si celebra il primo Lgbt+ history month per incoraggiare l’eguaglianza. Antonia Monopoli, responsabile sportello trans di Ala Milano, spiega a Fanpage.it: “Vogliamo essere tutelati come tutti gli altri”.
A cura di Enrico Spaccini
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Antonia Monopoli da dieci anni gestisce lo sportello Ala trans a Milano
Antonia Monopoli da dieci anni gestisce lo sportello Ala trans a Milano

Sanremo, 5 aprile 1972. Legge n.164 del 14 aprile 1982. Per la comunità Lgbt+ italiana, il mese di aprile ha un significato particolare. Cinquant'anni fa, nella città dei fiori ligure, si tenne la prima manifestazione pubblica organizzata dalla comunità gay e lesbiche italiana e dieci anni dopo venne approvata la legge sull'attribuzione del sesso e del nome anagrafico. "Vogliamo essere tutelati come tutti gli altri. C'è però ancora tanto da costruire, soprattutto a livello mentale e culturale", afferma a Fanpage.it Antonia Monopoli, responsabile dello sportello trans di Ala Milano. Monopoli è arrivata nel capoluogo lombardo quando ancora i Pride italiani non esistevano e le persone trans non sapevano a chi rivolgersi per avere supporto. Un mese, quello di aprile, di conquiste sociali e che in questo 2022 è stato scelto per celebrare per la prima volta nel nostro Paese il Lgbt+ history month: quattro settimane dedicate a eventi, festeggiamenti e confronti per incoraggiare l'eguaglianza giuridica e sociale. Come lo definisce il presidente Centro d'iniziativa gay (Cig) di Milano, Fabio Pellegatta: "Un percorso non ancora terminato".

"Un figlio è sempre un figlio"

"Negli ultimi cinque o sei anni mi sono resa conto che sempre più genitori accompagnano i propri figli allo sportello. Mi ricordano mia mamma che cercava informazioni su come potermi aiutare nel migliore dei modi. Un figlio è sempre un figlio". Antonia Monopoli è nata a Bisceglie il 5 ottobre 1972, gestisce dal 2009 lo sportello di ascolto dell'Associazione nazionale lotta all'Aids di Milano ed è una delle persone trans più attive nel panorama sociale e culturale cittadino. "Non avevo ancora otto anni quando iniziai a percepire le prime manifestazioni di cosa sentivo dentro di me", racconta ricordando come la sua era una famiglia religiosa, dove vigeva un certo machismo. "Diciamo che nei miei atteggiamenti non riconoscevano lo stereotipo della figura maschile". Per questo motivo alcuni parenti iniziarono a farlo notare alla madre: "Lei non ci pensava neanche, non si poneva domande. Poi però li ha ascoltati e ha cercato un modo per aiutarmi". Così, decise di portarla dal medico di base che le consigliò di rivolgersi a una clinica psichiatrica, "o manicomio come si chiamava a quel tempo. Mi misero una specie di rete in testa per fare un elettroencefalogramma: volevano capire quale fosse la tecnica migliore per rimuovere la parte ‘malata' nel mio cervello, cioè in pratica una lobotomia".

Antonia Monopoli, responsabile sportello trans di Ala Milano
Antonia Monopoli, responsabile sportello trans di Ala Milano

Il percorso più adeguato

Prima della legge n.164 del 1982, quella che regolamenta la possibilità di modificare il proprio sesso e nome anagrafico sulla base della propria identità di genere, le persone trans venivano mandate in manicomi e, in alcuni casi, in carcere. Identificati come soggetti pericolosi per se stessi e per la società. Solo dal 25 maggio 2019 l'Organizzazione mondiale della sanità ha deciso di rimuovere la "non-conformità" di genere dalla lista dei "disordini mentali". Negli anni '80, però, la situazione era diversa. "Uno specialista di Trani mi ha salvata – continua Monopoli – disse a mia madre: ‘suo figlio non ha niente che non va, è nato così. Lo deve indirizzare nel percorso più adeguato a lui'. Avevo 18 anni". A quel tempo le persone trans non erano aiutate in alcun modo, anzi erano viste come un difetto della società. "Con l'Aids i sogni del '68 si sono indeboliti sempre di più. Le poche associazioni che esistevano dovevano fare i conti con questo enorme problema, sostituirsi allo Stato che li ignorava. Per questo nell'84 è nato Cig". Pellegatta, presidente di Cig Arcigay Milano, ricorda quegli anni in cui poche persone cercavano di andare incontro a chi stava male.

I primi Pride in Italia

"Fino agli anni '90 la prostituzione era una scelta obbligata per le donne trans. Pensavo fosse l'unica possibilità di sopravvivenza, l'unico modo di realizzarmi come donna". Qualche anno più tardi, nel 1994, Monopoli decise di partire e andare a Milano. "Milano è sempre stata l'avamposto culturale d'Italia", spiega Pellegatta. Fu proprio il capoluogo lombardo il teatro del primo Pride nazionale nel 2001. "Ci chiedevamo se le persone Lgbt sarebbero scese in piazza: beh possiamo dire che lo fecero alla grande": decine di migliaia di persone percorsero le vie della città. Una mobilitazione mai vista prima per un tema delicato come la libertà sessuale. "Notammo che con il passare del tempo, sempre più persone si affacciavano alla finestra per applaudire le nostre manifestazioni", ricorda Pellegatta: "Avevano capito che non era una semplice, legittima, rivendicazione di alcune persone che aspirano alla completezza della propria vita. Si parlava di crescita del rispetto per tutta la società". La svolta dal punto di vista sociale iniziò l'anno prima, nel 2000, quando Roma ospitò il World Pride. "Non ebbe grande partecipazione, ma portò al movimento un'attenzione mediatica incredibile", racconta il presidente di Cig Arcigay Milano. Nei vari dibattiti pubblici che si tennero in quei giorni, anche Papa Giovanni Paolo II intervenne. "Fu la prima occasione di parlare alle persone in modo diretto, senza alcun tipo di distorsione".

Bandiere arcobaleno al pride del 2018 di Milano
Bandiere arcobaleno al pride del 2018 di Milano

La rivolta della piscina di piazzale Lotto

"Gli italiani sono cambiati, sia dal punto di vista culturale che mentale. La politica, invece, è rimasta ai minimi termini, ferma al 1982″, sostiene Pellegatta. Come ricorda Monopoli, "la 164 era una legge all'avanguardia per quei tempi". Una spinta decisiva arrivò il 4 luglio del 1980, con la cosiddetta "rivolta della piscina di piazzale Lotto". Quel giorno, più di 15 persone transessuali si ritrovarono in gruppo e si tolsero il reggiseno. A chi gli intimava di indossarlo perché il topless in una piscina pubblica era vietato, loro rispondevano che i documenti dicevano che erano uomini e perciò potevano stare solo con il pezzo sotto del costume. Il Corriere della sera intitolò il fatto "uno show transessuale", ma quello promosso dalla prima presidente del movimento identità trans milanese Pina Bonanno portò alla luce un buco legislativo che fu riempito proprio dalla legge n.164.

Tutela della salute

Una normativa all'avanguardia che però lasciava spazio a interpretazioni contrastanti. "Negli anni è stata applicata malissimo", racconta Monopoli: "Giudici e avvocati dissero che per cambiare il proprio nome e sesso anagrafico, la persona transessuale doveva per forza intervenire chirurgicamente sui propri organi genitali". Alcune sentenze recenti sono riuscite a superare questo limite dichiarando come prioritaria la tutela della salute della persona. Perciò oggi le persone transessuali possono fare richiesta a un tribunale per la rettifica sui documenti e nel giro di un anno ottenere una sentenza.

Recepimenti distorti

Le conquiste ottenute in 50 anni di storia dal movimento Lgbt+ sono numerose, soprattutto dal punto di vista culturale e sociale. Per quanto riguarda l'aspetto legislativo, le norme che non riescono più a stare al passo coi tempi. "Ad esempio, oggi si parla molto di più di identità fluida", spiega Monopoli, "ma anche di non-binary, non completamente maschio ma nemmeno femmina e viceversa, e non-med, chi non si sottopone a operazioni chirurgiche per il cambio di sesso ma che sono alle prese con una transizione sociale". Per quanto riguarda le discriminazioni sul luogo del lavoro, come affermato da Pellegatta: "Siamo appesi al recepimento di una normativa europea che è stata trasformata in legge in modo distorto". Un approccio che ricorda quello usato nel 2016 per le unioni civili. "Le hanno equiparate ai matrimoni, ma solo dal punto di vista tecnico. In realtà hanno creato una distinzione tra le unioni matrimoniali, di classe A, e quelle civili, di classe B".

"Come tutti gli altri"

Da quel 5 aprile di Sanremo, di manifestazioni ce ne sono state tante. Tuttavia, Monopoli sottolinea come "le nostre lotte chiedono sempre e solo un'unica cosa: essere tutelati dallo Stato". Lo scorso anno ogni sabato in tante piazze italiane migliaia di persone scendevano in piazza chiedendo che il Ddl Zan, il disegno di legge contro l'omotransfobia che prese il nome dal suo primo firmatario il deputato del Pd Alessandro Zan, venisse approvato in Parlamento. Cosa che non avvenne per una manciata di voti, segreti. "Quella proposta era molto ricca di contenuti. Sappiamo che in aprile sarà presentata un'altra proposta di legge. Noi siamo pronti a fare la nostra parte, a scendere in piazza. Così, magari, riusciremo a smuovere le menti dei più bigotti".

Una delle manifestazioni per il Ddl Zan all'arco della Pace di Milano
Una delle manifestazioni per il Ddl Zan all'arco della Pace di Milano
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