Dal primo caso di Codogno ai vaccini: il 2020 in Lombardia, tra dolore e speranza
“Un 38enne italiano è risultato positivo al test del coronavirus. Sono in corso le controanalisi a cura dell’Istituto Superiore di Sanità. L’uomo è ricoverato in terapia intensiva all’ospedale di Codogno”. Con queste poche righe in una nota della Regione si apriva – lo scorso 21 febbraio – l'anno da incubo della Lombardia.
In realtà, il Coronavirus aveva iniziato a fare paura già dall'inizio di gennaio. Erano state chiuse le frontiere e bloccati i voli con la Cina. Per settimane il timore del contagio aveva svuotato la zona di China Town a Milano. Ma il virus, all'insaputa di tutti, era già nel nostro Paese e circolava, forse, fin da dicembre o anche da prima.
Dopo il primo caso, quello di Mattia Maestri, il 38enne ricoverato in gravissime condizioni prima a Codogno e poi a Pavia, tutto cambia. In pochi giorni centinaia di nuovi contagiati vengono trovati nel Lodigiano e progressivamente anche in altre province. Scatta la prima zona rossa, che comprende dieci comuni nei dintorni di Codogno. Restano fuori i centri limitrofi della provincia di Cremona, dove il virus dilagherà.
Mentre gli ospedali iniziano a riempirsi a ritmi spaventosi, la politica terrorizzata dagli effetti economici del dilagare del virus reagisce, senza rendersi conto della gravità della situazione, invitando a non fermare le attività produttive. È il caso della campagna “Milano non si ferma”, lanciata dal sindaco Sala, da lui stessa giudicata in seguito un errore. Prese di posizione analoghe arrivano anche dal primo cittadino di Bergamo Giorgio Gori, dal leader della Lega Matteo Salvini e da molti altri.
All'inizio di marzo scoppia il caso della Val Seriana. Le autorità sanitarie avvertono che la situazione nei comuni di Alzano Lombardo e Nembro è gravissima a causa di focolai fuori controllo. Sotto accusa finisce la direzione dell'ospedale di Alzano, che avrebbe chiuso e subito riaperto la struttura senza sanificare dopo aver trovato i primi casi. Si attende per giorni l'annuncio di una zona rossa anche in provincia di Bergamo, che però non arriverà mai. Nella valle il contagio dilaga. La Procura di Bergamo indagherà in seguito sulle presunte pressioni da parte di Confindustria contro il lockdown della zona.
Al termine della prima settimana di marzo i contagiati sono ormai oltre 7mila in Italia, più di 4mila dei quali in Lombardia. Scatta il lockdown. Che riguarda in un primo momento la Lombardia e alcune altre province colpite nel nord Italia, quindi l'intero territorio nazionale. L'Italia è paralizzata dalla pandemia. Tra timore e voglia di resistere, con gli appuntamenti serali sui balconi per cantare e farsi forza. La situazione negli ospedali, però, non migliora. Nonostante la corsa ad allestire nuovi letti di rianimazione nei reparti, nelle sale operatorie e persino nei corridoi, le terapie intensive si riempiono.
Gli ospedali di Lodi, Bergamo, Cremona e Brescia, ma anche quelli di Milano, sono al collasso. Decine di medici, infermieri e operatori sanitari vengono infettati. La carenza di dispositivi di protezione individuale e gli errori nella gestione fanno dilagare il virus anche nelle case di riposo. Soprattutto nella Bergamasca, sono tante le persone che non riescono ad arrivare in ospedale e muoiono a casa. Anche molti medici di famiglia perdono la vita in prima linea. Il primo è Roberto Stella, presidente dell'Ordine dei medici di Varese. La situazione è drammatica, ma un aiuto arriva dalle altre regioni italiane e anche dall'estero: volontari dalla Cina, da Cuba, dagli Stati Uniti e da tanti altri Paesi.
Ma il momento simbolo della tragedia del Coronavirus in Italia è immortalato il 18 marzo. Una colonna di camion dell'esercito che porta via decine di bare da Bergamo. Nel momento di massimo picco di decessi, infatti, i forni crematori della città non riescono più a smaltire le bare, che restano accumulate al cimitero cittadino, ma anche in alcune chiese come quella di Seriate.
Per fare fronte alla tragica situazione degli ospedali si inizia a progettare un grande hub di terapia intensiva, che dovrà nascere a Milano nei padiglioni della Fiera. La realizzazione, costata circa venti milioni di euro provenienti da donazioni private, è affidata all'ex capo della protezione civile Guido Bertolaso. Dagli iniziali 500 posti immaginati, si scende a una capienza teorica di poco più di duecento letti. Ma la realtà è ben diversa: l'ospedale alla Fiera viene utilizzato per pochissimi pazienti nella prima fase dell'emergenza. Anche perché, per fortuna, subito dopo la sua inaugurazione le curve dei contagiati e dei ricoverati iniziano finalmente a scendere. La struttura resterà vuota per mesi, tra polemiche e con l'intervento della magistratura. Tornerà però utile in autunno, con la seconda ondata, quando verranno curati circa 90 pazienti in un mese.
Con il miglioramento della situazione sanitaria, dal 4 maggio inizia la fase due. Fine del lockdown totale, si torna a uscire di casa. È un lento ritorno alla normalità, che permetterà agli italiani di trascorrere un'estate quasi "normale". Ma proprio durante la Fase due esplodono in Lombardia le inchieste giudiziarie sulla gestione dell'emergenza. Molte delle quali coinvolgono i vertici di Regione Lombardia, a partire dal governatore Attilio Fontana. Prima il caso Diasorin, con la diatriba legale – prima davanti alla giustizia amministrativa, poi con il coinvolgimento di quella penale – sull'accordo tra San Matteo di Pavia e la multinazionale farmaceutica per la produzione di test sierologici (dopo una serie di ricorsi il Consiglio di Stato darà ragione all'Irccs pavese). Poi il caso camici, portato a galla da un'inchiesta di Report, sulla fornitura di dispositivi di protezione ordinata senza gara dalla centrale acquisti della Regione all'azienda del cognato di Attilio Fontana. Intanto accelera l'inchiesta della Procura di Bergamo sulla diffusione del Coronavirus: nel mirino la mancata zona rossa.
Dopo un'estate di quasi normalità, la tensione torna a salire alla fine di agosto con i timori per i "casi di ritorno". Migliaia di turisti italiani che hanno scelto di andare in vacanza in zone a rischio, dalla Croazia alla Spagna, dalla Grecia a Malta. Si organizzano campagne di tamponi a tappeto sui viaggiatori che rientrano in Italia. Ma non tutto funziona. A Malpensa e Linate il servizio parte con alcuni giorni di ritardo e con molte polemiche per la decisione, poi corretta, di dare la precedenza ai residenti in Lombardia.
A settembre si arriva all'attesa riapertura delle scuole. Tornano in classe gli studenti e gli insegnanti, che da marzo non hanno più potuto svolgere lezioni in presenza. I problemi da affrontare sono molti: dal distanziamento, per cui si utilizzano banchi singoli con le rotella ma anche prefabbricati per ricavare nuovi spazi, come fa il Comune di Milano, all'obbligo di mascherina per i ragazzi. Com'era prevedibile, già nelle prima settimane di ripresa delle lezioni si verificano casi e focolai in tutta la Lombardia. Intere classi vengono messe in quarantena. A metà ottobre saranno quasi 3mila le persone isolate tra alunni, docenti e collaboratori scolastici.
A metà ottobre accade quello che tutti temevano. Il contagio torna a colpire con una seconda ondata che manda in tilt in tracciamento. Il virus dilaga questa volta in tutta Italia. In Lombardia sono colpite le province che erano stata risparmiate dalla prima ondata: gli ospedali di Como, Monza e Varese si riempiono velocemente fino a rischiare il collasso. A fine mese il sindaco di Varese lancia l'allarme: "Siamo in una situazione di quasi saturazione".
Con uguale forza il virus si manifesta anche a Como. Nel capoluogo di provincia la situazione è critica al Valduce: "Se andiamo avanti così qualcuno si farà l'infarto a casa o l'ictus a casa, questo lo dobbiamo assolutamente evitare", avverte il direttore sanitario Claudio Zanon. I numeri fanno tremare anche l'ospedale Sant'Anna: 137 pazienti Covid ventilati di cui 26 in terapia intensiva. A Erba viene scattata una foto a una lunga fila di ambulanze piene di pazienti Covid in coda al pronto soccorso.
A Monza l'ospedale San Gerardo raggiunge un numero di ricoverati Covid da record. "Siamo nell'occhio del ciclone" spiega a Fanpage il capo della Rianimazione, il dottor Giuseppe Foti. Pochi giorni dopo l'Azienda sanitaria diramerà una nota per chiedere l'intervento dell'esercito e della protezione civile in aiuto, visto l'alto numero di operatori contagiati dal Coronavirus.
Nel frattempo esplode la questione sociale. Quando governi ed enti locali, con l'avanzare della seconda ondata, si trovano costretti e reintrodurre limitazioni e restrizioni alla libertà di movimento, esplode la rabbia. Dopo l'introduzione di un coprifuoco notturno, in tutta Italia si verificano manifestazioni. Anche a Milano ci sono episodi di violenza con lancio di molotov contro la polizia e danneggiamenti.
A novembre per gestire in modo differenziato l'emergenza nei diversi territori viene introdotto un sistema con colori diversi a seconda della gravità dell'emergenza, basato su 21 parametri elaborati dell'Istituto superiore di Sanità. La Lombardia viene immediatamente inserita in zona rossa. Una decisione inevitabile per il numero altissimo di contagiati e di vittime: il 19 novembre si superano i 20mila morti in Lombardia. Di fatto torna un lockdown stringente con il divieto di circolare anche nel proprio comune di residenza. Progressivamente le restrizioni verranno allentate con il passaggio a zona arancione prima e gialla poi, pochi giorni prima delle vacanze di Natale. Ma le festività porteranno un nuovo giro di vite. Dopo le scene di assembramenti e folla nelle vie dello shopping della grandi città – compreso il centro di Milano preso d'assalto per gli acquisti – viene stabilito dopo una lunga discussione un lockdown natalizio.
Ma il 2020 si chiude anche con una nota di speranza, uno spiraglio alla fine di un anno buio e pieno di dolore. Il 21 dicembre l'Agenzia europea del farmaco approva l'utilizzo del vaccino di Pfizer-Biontech. Il giorno seguente arriva il via libera dell'agenzia italiana del farmaco (Aifa). È la notizia attesa da mesi. "Ora abbiamo un'arma contro il virus", spiegano i medici. Per la prima fase della campagna, la Lombardia riceverà 305mila dosi per sanitari e ospiti delle Rsa. In tutta Europa l'avvio delle vaccinazioni avviene con la giornata simbolica del V-Day, il 27 dicembre. Tra i primi a sottoporsi alla vaccinazione ci sono due lavoratrici dell'ospedale milanese di Niguarda, i presidenti degli ordini dei medici, ma anche scienziati diventati noti al grande pubblico come i virologi Galli e Pregliasco.