Cristina, mamma di Leonardo con grave autismo: “70 per cento di caregiver siamo donne, subiamo discriminazioni”
Cristina è la mamma di Leonardo, un ragazzino di tredici anni con un autismo di tipo grave che ha bisogno 24 ore su 24 di un’assistenza: "Non è un’assistenza medica. Non è in grado di autodeterminarsi. Ha una disabilità intellettiva quindi qualsiasi attività deve essere mediata da un adulto", ha spiegato a Fanpage.it.
Il ruolo della scuola
Per lui è fondamentale il tempo trascorso a scuola: "In questi anni abbiamo assistito al decadimento più totale sia per numero di ore che come qualità della docenza. Spesso vengono assegnati docenti con le liste Mad (Messa a disposizione), senza alcun tipo di formazione e senza alcun tipo di empatia. Forse guidati dal bisogno di fare punteggio o avere uno stipendio".
"Mio figlio ha due insegnanti di sostegno perché è stato diviso il monte ore, nessuna della quale è formata. Quando noi abbiamo offerto alla scuola esperti e informazioni su come rapportarsi a un bambino che ha una modalità altra di apprendere, ci siamo visti la porta chiusa in faccia. Abbiamo vissuto un'isola felice alle elementari mentre alle medie è un disastro totale. Per mio figlio l’unica vera possibilità di socializzazione è la scuola e hanno buttato via un anno in cui le sue prestazioni potevano migliorare", ha spiegato.
E anche per questo motivo, Cristina ha trovato non adeguate le parole del generale Vannacci relativamente a classi separate per studenti disabili: "Separare i bambini con disabilità è come eliminare una specie critica nell'ecosistema scolastico. Immaginiamo un mondo in cui le persone vengono suddivise in base al colore degli occhi o alla lunghezza dei capelli".
"Ma sì, certo, la diversità all'interno della stessa specie umana è davvero una mina di potenzialità inesplorate! Forse dovremmo iniziare a separare le persone in base al loro segno zodiacale per massimizzare la diversità educativa".
Il lavoro
La vita di Cristina non è semplice. Per poter assistere Leonardo ha dovuto lasciare il lavoro: "Avevo una piccola agenzia promozionale. Ho dovuto chiudere l’attività e metterla in liquidazione. Dalla diagnosi in poi sono io che lo seguo. Mi sono ritrovata a diventare praticamente medico, consulente, presidente associazione, avvocato".
"Il 70 per cento di caregiver sono donne che devono rinunciare a tutto. Rinunciare anche alla propria identità per riuscire a coordinare tutto. Inoltre subiamo discriminazioni perché veniamo continuamente infantilizzate. Non solo perdiamo il lavoro, ma è come se perdessimo credibilità verso l’esterno. Siamo sempre trattate come esseri inferiori esattamente la condizione che la nostra società impone alle persone con disabilità. Abbiamo bisogno anche noi di riconoscimenti soggettivi: di essere riconosciute come persone che si prendono cura di figli con disabilità rinunciando totalmente a sé stesse".
L'impegno con l'associazione
Cristina per fornire sia a Leonardo che ai figli di altri genitori risposte e servizi ha deciso anche di impegnarsi nell’associazionismo: "Sono presidente dell’associazione Spazio Blu – Autismo Varese. L’organizzazione è nata nel 2016 proprio perché sul territorio lombardo, eravamo totalmente sguarniti, soprattutto per l’autismo, di presa in carico e servizi abilitativi proprio per i nostri figli".
Non è però stata l’unica a organizzarsi: "È successo che, come me, diversi gruppi di genitori si siano uniti per dar vita ad associazioni che potessero dare risposte e soluzioni che le Istituzioni non riuscivano e non riescono a dare. È quindi spesso capitato che quando ci rivolgevamo all’Ente pubblico, la prima cosa che ci chiedevano era come mai ci fossero più di cento associazioni".
Per facilitare le comunicazioni con le istituzioni sia lei che altri genitori hanno deciso "nel 2019 di fare fronte comune attraverso il comitato “Uniti per l’autismo” che a oggi raggruppa più di 55 associazioni lombarde".
Per il momento, il confronto con l’Ente pubblico non ha dato i frutti sperati: "Abbiamo un piano operativo dell’autismo. È un progetto molto articolato che tocca diversi aspetti: dalla diagnosi precoce, alla presa in carico, ala vita adulta, alla fase di transizione, Mancano però le risorse”.
E perché mancano? "Proprio perché finora è sempre mancato tutto, sono state concentrate nella ridefinizione e nell’organizzazione dei servizi. Le Istituzioni infatti, quando hanno deciso di sporcarsi le mani, si sono rese conto che non c’era nulla. Per il momento quindi non ci sono ancora benefici per le nostre famiglie".
Il problema è che sono stati anche ridotti i finanziamenti destinati ai caregiver: "Se da una parte ci siamo organizzati per conto nostro, dall’altro lato non abbiamo nemmeno le risorse per riuscire a garantire il diritto alla salute e ai percorsi abilitativi per i nostri figli con disabilità. Comprendiamo il disegno perché auspichiamo che vi sia una migliore organizzazione di servizi a favore delle persone con disabilità. Contestiamo però l’impianto. Il problema è chi è che finanzia questa organizzazione di servizi? Chi la organizza? Chi la porta avanti? Sembra ancora che a pagare saranno i nostri figli e le nostre famiglie".
"Mancano anche le risorse umane: non ci sono educatori, psicologi e assistenti sociali. I mattoni che costruiscono l’impianto di questa nuova trasformazione, dove sono?".