Cos’è il Giovedì Nero del 12 aprile 1973 e cosa c’entrano Ignazio e Romano La Russa
Era il pomeriggio del 12 aprile 1973 quando, a Milano, un plotone di giovani neofascisti sfilò in massa verso la Prefettura della città. Durante il corteo, non autorizzato, una bomba uccise il poliziotto Antonio Marino. Aveva 22 anni.
Sono passati esattamente 50 anni da quello che è passato alla storia come il Giovedì Nero di Milano. Alcuni dei suoi protagonisti, però, sono rimasti al centro della scena politica nazionale, adesso più che mai: si tratta dei due fratelli Romano e Ignazio La Russa, all’epoca in testa al corteo di guerriglia urbana che attraversò e sconvolse l'intera Milano. Oggi sono rispettivamente presidente del Senato e assessore alla Sicurezza e alla Protezione Civile per Regione Lombardia.
Entrambi furono successivamente indagati, e poi ritenuti estranei, per i fatti che insanguinarono di quel pomeriggio di primavera.
La manifestazione violenta a Milano
A scatenare la violenza neofascista in giro per Milano fu il divieto imposto dal Prefetto Libero Mazza alla manifestazione di Movimento Sociale Italiano, Fronte della Gioventù e i gruppi Avanguardia Nazionale e Ordine Nuovo, “contro la violenza rossa” dell'estremismo di sinistra.
I manifestanti così, nonostante il divieto, si radunarono ugualmente. Capitanati dal vicesegretario Franco Servello, dall'onorevole Francesco Petronio e da Ignazio La Russa, all'epoca leader del Fronte della Gioventù di Milano, intorno alle 18.30 iniziarono a marciare verso la Prefettura.
La morte dell'agente Antonio Marino
Una parata caratterizzata da numerosi atti di violenza e di teppismo, sparsi a Est della città. I neofascisti, durante la marcia, invasero ad esempio la Casa dello Studente di Viale Romagna e l'istituto magistrale Virgilio di Piazza Ascoli (Città Studi), ritenuti dai neofascisti covi di militanti di sinistra. Il procuratore Guido Viola scrisse: "Sembravano un’orda di barbari intenta a distruggere, a saccheggiare, a ferire, a devastare".
Lungo via Bellotti, nei dintorni di via Kramer (Risorgimento), dalla folla vennero lanciate due bombe a mano SRCM Mod. 35 contro le forze dell'ordine. La prima ferì un passante e un poliziotto. La seconda, invece, colpì al petto il giovanissimo agente Antonio Marino, uccidendolo.
Le indagini e le accuse ai fratelli La Russa
Dopo gli scontri e la morte di Marino vennero fermati 150 manifestanti, 80 dei quali subito rilasciati: al termine delle indagini, che ricostruirono come i disordini fossero programmati da tempo, vennero riconosciuti come responsabili del lancio delle bombe e condannati a 18 anni di carcere Vittorio Loi, 21 anni, (figlio del campione mondiale di boxe Duilio Loi) e Maurizio Murelli, 19 anni.
I quali inizialmente accusarono, tra gli altri, anche i fratelli La Russa, sostenendo in particolare che Romano fosse a conoscenza della presenza delle bombe nel corteo. Entrambi però ritrattarono, sostenendo di aver lanciato accuse infondate contro i vertici del movimento perché si erano sentiti abbandonati. Ignazio La Russa non venne quindi rinviato a giudizio, mentre il fratello Romano (per il quale il pm aveva una condanna a 2 anni) venne assolto.