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Cos’è il caporalato, come funziona e perché se ne parla nel mondo dell’alta moda italiana

L’avvocato Cristiano Cominotto ha spiegato in un’intervista a Fanpage.it che cosa si intende con caporalato e sfruttamento del lavoro, e quali sono le responsabilità di una grande azienda che decide di appaltare parte della propria produzione.
Intervista a Cristiano Cominotto
Presidente e co-fondatore di A.L. Assistenza Legale
A cura di Enrico Spaccini
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Il mondo dell'alta moda italiano negli ultimi mesi è stato travolto da un'ondata di inchieste giudiziarie. Queste stanno coinvolgendo, al momento, Giorgio Armani Operations S.p.a., l'azienda Alviero Martini e Manufactures Dior srl. L'ipotesi di reato che gli viene contestata dall'Ispettorato del Lavoro di Milano è di non essere stato capace di prevenire e arginare fenomeni di sfruttamento lavorativo nell'ambito del ciclo produttivo. In altri termini, caporalato. Sono tutte vicende che sono in corso di indagine, ma che hanno già portato alle prime amministrazioni giudiziarie. Intervistato da Fanpage.it, l'avvocato Cristiano Cominotto, esperto di diritto del lavoro e co-fondatore di Assistenza Legale A.L., ha spiegato in cosa consiste il reato di caporalato e quali possono essere le conseguenze a cui va incontro un'azienda accusata di sfruttamento del lavoro.

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Che cosa si intende con caporalato?

Il principio fondamentale di tutti i rapporti di lavoro è che sono regolamentati da contratti collettivi nazionali, che non dispongono solo i minimi di retribuzione, ma anche le condizioni minime per i dipendenti. Questi riguardano l'orario massimo di lavoro che deve essere applicato, la salute, la sicurezza sul posto di lavoro, le ferie e i permessi da malattia. Minimi sotto cui non si può scendere perché altrimenti si vanno a danneggiare anche princìpi costituzionali.

La legge italiana riconosce che c'è uno squilibrio tra datore di lavoro e lavoratore, quindi tende per quanto possibile a riequilibrare le cose. Quindi, tutte le volte che andiamo a toccare questi minimi siamo nell'ipotesi dello sfruttamento del lavoratore.

Spesso siamo convinti che questi problemi riguardassero le piccole aziende che cercano di forzare le regole per stare in piedi, e quindi ci sorprendiamo vedere i grandi marchi, anche del lusso, coinvolti in questi problemi giudiziari. Ci sono aziende, senza entrare nello specifico, che a volte ricorrono al subappalto, o alla sub-fornitura, per riuscire a usare i lavoratori a delle condizioni che la legge non concede per evidenti ragioni economiche.

In che cosa consiste? Quando si verifica lo sfruttamento del lavoro?

Per una grande azienda è chiaro che sarebbe impensabile non applicare il contratto collettivo ai propri dipendenti. Piuttosto è più semplice che lo facciano aziende terze. Quello che viene contestato alle grandi aziende che fanno questo tipo di operazioni è la superficialità, a volte anche colpevole, del non preoccuparsi delle condizioni di lavoro delle aziende a cui appaltano un servizio, o comunque non verificano se il soggetto a cui danno l'appalto sia in regola con le norme del lavoro.

Viene fatta una valutazione puramente economica: si guarda al costo della produzione di quell'oggetto e si punta al minimo possibile. Senza calcolare, però, che dietro quel minimo c'è una situazione lavorativa che non è sostenibile. Non si tratta solo di far lavorare le persone più di 48 ore alla settimana, ma anche per esempio dei contributi non versati e delle tasse non pagate. L'Ispettorato del Lavoro e gli altri organi competenti devono evitare che cose come queste possano accadere.

Come si fa a controllare e verificare che i lavoratori non vengano sfruttati?

In realtà è molto semplici. Ci sono due tipi di verifiche, una sul territorio con l'Ispettorato del Lavoro che ferma l'azienda e fa la verifica sul personale che si trova all'interno in quel momento, e una sui contratti. Molti lavoratori, infatti, non hanno nemmeno dei veri contratti di lavoro. Ma questo non basta, perché magari c'è chi ha registrato correttamente i contratti di lavoro, ma con i soli documenti non sei in grado di verificare se sono effettivamente rispettati.

Per esempio, un contratto può essere part time, ma poi devi verificare che risponda veramente alle ore di lavoro fatte dal collaboratore o se in realtà fa un full time. Così come le condizioni di sicurezza, devono essere controllate in azienda.

In caso di appalto a un'azienda estera diventa più complessa la verifica?

Se parliamo di Europa, ci sono direttive che tutto sommato garantiscono una certa parità di trattamento quantomeno minimo delle condizioni di lavoro in tutti gli Stati membri. Certo, ci sono Paesi più tutelati e altri meno, ma i princìpi di tutela della dignità dell'essere umano e del lavoratore sono abbastanza rispettati.

Se si esce dall'Europa, poi tutto diventa possibile. Le verifiche che competono al nostro Ispettorato del Lavoro riguardano solo le aziende italiane, poi spetta al singolo compratore e alla sua moralità valutare se sia il caso acquistare, per esempio, un pallone che è stato cucito da bambini sfruttati dall'altra parte del mondo.

Cosa rischia un'azienda accusata di sfruttamento del lavoro?

L'intermediazione illecita e lo sfruttamento del lavoro sono regolati dall'articolo 603bis del Codice Penale. In generale, è punito con la reclusione da 1 a 6 anni e con sanzioni da 500 a mille euro per ciascun lavoratore. È chiaro, però, che bisogna capire bene quale tipo di violazione sia stata, o meno, conseguita. Quindi intanto ci potrebbe essere un'amministrazione giudiziaria, un sequestro giudiziario, poi anche l'interdizione all'attività della società. La questione in caso di appalti è se la società appaltante è a conoscenza dell'eventuale sfruttamento.

Poi, indipendentemente dalle violazioni, c'è anche una ricaduta in termini di immagine. Le grandi aziende hanno codici di condotta molto precisi e se questi vengono violati portano a un ripensamento di tipo manageriale importante.

Ci sono grandi aziende che appaltano a società che, a loro volta, affidano parte del lavoro ad altri. In caso di violazioni, è meno grave se la prima società appaltante omette i controlli sull'ultima appaltatrice?

Il punto è che non credo che sia possibile pensare che grandi aziende volontariamente, o comunque essendo a conoscenza dei dettagli, decidano di ricorrere a manodopera in condizioni di sfruttamento. Se un fornitore sceglie un subappaltatore, dovrebbe fare oltre alla valutazione dell'offerta economica anche una verifica sulle condizioni di lavoro. Se questo non viene fatto, magari non è un comportamento doloso ma forse è colposo, un comportamento negligente che ha comunque ripercussioni dal punto di vista penale.

Bisogna, poi, vedere quanto queste società appaltatrici siano coinvolte in maniera organica nello svolgimento dell'attività e quanto l'azienda appaltante riesca a dimostrare di essere completamente estranea alle violazioni.

Nel caso in cui un'azienda indagata per sfruttamento del lavoro dovesse venire assolta, subirebbe comunque un danno d'immagine importante.

Il problema ha due aspetti fondamentali: la responsabilità penale sicuramente, ma anche la sostenibilità del business complessivo. Oggi è questo secondo aspetto che sta bloccando il mercato dei contratti tra aziende. Quando si ha a che fare con aziende multinazionali, o le grandi nazionali, si sottoscrivono contratti che riservano grande attenzione ai temi di appalto e subappalto. Le più grandi aziende chiariscono l'importanza del rispetto dei codici etici e le regole per i subappalti.

Quando c'è un subappalto, la prima azienda appaltante rischia di perdere il controllo della filiera. È per questo che sempre più aziende stanno rimuovendo questa possibilità nei contratti, perché anche senza volerlo l'attenzione si abbassa. La questione poi diventa: i controlli li deve fare l'azienda o l'Ispettorato del Lavoro?

Perché se li deve fare l'azienda appaltante, finisce che non subappalta più per evitare di dover fare verifiche dettagliate che, in caso di violazioni, portano a conseguenze serie. E questo si può verificare anche per aziende subappaltatrici che magari contribuiscono alla minima percentuale di produzione dell'azienda.

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