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Cosa sappiamo sul caso del bimbo affidato da neonato a una famiglia e poi dato in adozione a 4 anni

Luca (nome di fantasia) è un bimbo di quattro anni che è stato affidato a una famiglia quando aveva solo trenta giorni di vita. Sarebbe dovuto rimanere con loro per un tempo limitato e invece ha vissuto con loro per quattro anni. Adesso il tribunale, nonostante la famiglia avesse dato la propria disponibilità all’adozione, lo ha dichiarato adottabile nei confronti di un’altra famiglia alla quale adesso è stato affidato.
A cura di Ilaria Quattrone
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In queste ore è stata data notizia del caso di un bimbo di quattro anni, Luca (nome di fantasia), che quando aveva solo trenta giorni di vita è stato affidato a una famiglia – che vive in provincia di Varese – per un progetto-ponte (quindi per un tempo limitato) e che adesso, dopo ben quattro anni, è stato dato in adozione a un'altra famiglia. La prima coppia ha presentato ricorso affinché il piccolo possa tornare con loro.

La storia della famiglia di Luca

Facciamo un passo indietro. Da circa dieci anni, la coppia accoglie bimbi e ragazzi in affido-ponte e quindi per un tempo limitato. Il piccolo Luca sarebbe dovuto rimanere solo qualche settimana invece ha vissuto con loro per quattro anni.

Nei mesi scorsi, proprio alla luce del tempo che il bambino aveva trascorso con la famiglia, il giudice aveva chiesto loro se fossero disposti ad adottare il bimbo. La coppia, come riportato dal quotidiano Il Giorno, si era resa disponibile. Lo scorso gennaio il tribunale di Milano ha però dichiarato l'adottabilità del piccolo nei confronti di un'altra famiglia.

Il 10 febbraio la prima famiglia ha presentato un ricorso d'urgenza per l'adozione in casi particolari. Il 3 marzo, dopo la prima udienza, avrebbero però trovato "chiamate senza risposta dell'assiste sociale, che li avvertiva del fatto che il mattino dopo sarebbero venuti a prendere Luca per fargli conoscere l'altra coppia e che il giorno successivo lo avrebbero trasferito", ha raccontato l'avvocata Sara Cuniberti che assiste i due. E così è stato.

Come specificato dal loro legale, la famiglia non ha mai avuto alcuna intenzione di utilizzare l'istituto-ponte per renderlo permanente. In questo caso il piccolo è stato lasciato a loro più del tempo dovuto: "L'affido non è e non dev'essere una scorciatoia per l'adozione, ma le regole vanno rispettate da tutti, anche dal tribunale, che deve perseguire degli affidi-ponte che abbiano una durata canonica, di sei mesi-massimo un anno", ha proseguito l'avvocato. L'obiettivo è che il ricorso venga trattato rapidamente e che il tribunale "capisca di aver sbagliato, revochi il decreto di adottabilità emesso e conceda l'adozione ai miei assistiti". 

Le parole del garante per l'infanzia e l'adolescenza di Regione Lombardia

Sulla vicenda si è espresso anche il garante per l'infanzia e l'adolescenza di Regione Lombardia, Riccardo Bettiga, che ha spiegato come il tempo trascorso (quattro anni) abbia inevitabilmente stravolto quello che era un affido temporaneo "e ciò non per una responsabilità imputabile né ai genitori affidatari né al bambino, tenendo conto anche della necessità di garantire il diritto alla salute soprattutto mentale, alla serenità e alla continuità affettiva, di cui apparentemente sembra non ne sia stato preso atto".

Bettiga ha inoltre precisato che "prima che la vicenda avesse forte risalto mediatico, fu correttamente segnalata all'Ufficio del Garante per l'Infanzia e l'Adolescenza della Regione" ed è "indicativo il fatto che a fronte di una immediata richiesta di chiarimento il Tribunale per i Minorenni di Milano non abbia fornito alcuna risposta", ha continuato.

Ha poi precisato che "il Tribunale e la Procura sono organi che prendono le proprie legittime decisioni in modo indipendente dall'eventuale esposizione mediatica o da qualsivoglia richiesta del Garante e non hanno l'onere di fornire spiegazioni: resta però il fatto che la gestione di questo caso suscita grandi perplessità e amarezza per le conseguenze che ha avuto sul bambino e sulle persone coinvolte".

Per il Garante ci possono essere ragioni fondate nella possibilità di riconoscere la continuità affettiva con la famiglia affidataria "tanto più che il bambino dopo il distacco ha evidenziato in reazione disturbi comportamentali evidenti e un profondo malessere fisico e psicologico".

Ha inoltre ricordato che il collocamento alla famiglia adottiva "se effettuato senza garantire la continuità affettiva, senza un ascolto adeguato, senza adeguate spiegazioni al minore stesso e senza una transizione graduale, può costituire una violazione di numerosi diritti fondamentali così come sanciti dalle convenzioni internazionali". Anche l'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza Marina Terragni si è associata alla preoccupazioni del collega lombardo.

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