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Cosa raccontano di Alessia Pifferi i documenti scolastici prodotti dalla sua avvocata

La difesa di Alessia Pifferi, a processo per la morte della figlia di 18 mesi, ha depositato una serie di documenti scolastici relativi alla sua situazione psicologica. Acquisiti agli atti, non sono stati integrati nella valutazione peritale.
A cura di Margherita Carlini
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Alessia Pifferi e la sua avvocata Alessia Pontenani
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Nel corso delle udienze del processo che vede Alessia Pifferi imputata per aver abbandonato sua figlia Diana, di solo 18 mesi, per diversi giorni, fino a cagionarne la morte per stenti, la difesa ha depositato una serie di documenti scolastici che proverebbero la sussistenza di un grave deficit cognitivo. Tali documenti sono stati acquisiti agli atti, ma la Corte ha deciso di non integrarli alla valutazione peritale prodotta dal professor Pirfo. Vediamo nel dettaglio di che documenti si tratta e cosa emerge dal loro contenuto.

Le problematiche riscontrate all'inizio delle elementari

La documentazione prodotta parte da una richiesta di presa in carico che il Servizio Sanitario scolastico presenta al Servizio Sociale del Comune di Milano nel mese di novembre 1991. Alessia, nata il 24 agosto del 1985, ha solamente 6 anni e da circa un paio di mesi ha iniziato a frequentare le scuole elementari. La bambina mostra subito problemi di inserimento e di socializzazione, “piange continuamente” e di conseguenza “ha problemi di apprendimento”.

È la mamma della bambina a essere inviata al Servizio Sociale. Già da quel primo incontro emerge che i problemi di inserimento di Alessia sono tali sin da quando la bambina frequentava la scuola materna e queste problematiche si sarebbero tradotte in assenze frequenti. Problemi che sembrerebbero essere acuiti con la perdita dei nonni materni a cui la bambina era molto legata. Proprio come aveva riferito la stessa Pifferi al processo, parlando della nonna materna, “lei mi viziava e soprattutto riuscivo a parlarci, era la mia confidente”.

Viste le problematiche riscontrate, la bambina, all’inizio del 1993, viene presa in carico da una psicologa che la incontra inizialmente in compagnia della madre, visto che Pifferi manifesterebbe una forte ansia da separazione, tale da non consentire incontri separati. È proprio il rapporto con il materno che appare maggiormente complesso, la bambina avrebbe nei confronti della mamma una forte ambivalenza, se da un lato non vuole separarsene, dall’altro in sua presenza, tende a svalutarla e a porre in essere comportamenti non congrui.

Il test proiettivo

A Pifferi viene anche somministrato un test proiettivo, il C.A.T. (Children Apperception Test), utilizzato per indagare la personalità dei bambini dai 3 ai 10 anni. Ai bambini vengono mostrate 10 tavole che riproducono disegni con animali e viene richiesto, dopo un’osservazione, di inventare una storia per ogni tavola. A fronte delle valutazioni cliniche e psicodiagnostiche, a Pifferi viene riscontrata una “disarmonia evolutiva sulla base di un disturbo della relazione con difficoltà di apprendimento secondarie”.

Le diverse aree di sviluppo della bambina (cognitiva, affettiva, del linguaggio, relazionale…) si starebbero quindi sviluppando in maniera disarmonica tra loro, con tempi e modi differenti. Pifferi avrebbe difficoltà a separarsi dai genitori (prevalentemente dalla madre perché il padre, in tale percorso risulterebbe piuttosto marginale) e a rapportarsi con i coetanei, non riuscendo a integrarsi nel contesto scolastico, queste difficoltà inciderebbero sulle sue capacità di apprendimento. “L’aderenza alla realtà oggettiva non è sempre costante a causa della ansia che la pervade e che ostacola la capacità di concentrazione e autonomia”. Pifferi a processo dichiarava: “Le bambine giocavano insieme invece io ero sempre da sola, stavo sulle mie”.

Il percorso di psicoterapia

A sostegno della minore viene quindi avviato un percorso di psicoterapia. Pifferi ha solamente 7 anni, e viene richiesta la presenza “indispensabile” e “per un congruo numero di ore” di un insegnante di sostegno che possa aiutarla a sentirsi più al sicuro in quel contesto e a progredire negli apprendimenti.

Solo due anni più tardi, la medesima professionista dichiara che Pifferi è “persona handicappata”, avente pertanto diritto alla Legge 104/92. L’anno successivo, nel 1996, viene formulata una diagnosi di “disturbo di personalità” non meglio definito, permanendo il “grave disturbo dell’apprendimento”. Alessia Pifferi termina le scuole elementari presentando ancora disturbi sia sul piano cognitivo che relazionale, se in parte qualche miglioramento c’è stato, la bambina comunque si distrarrebbe molto facilmente, necessitando di continui stimoli e sollecitazioni riuscendo a stabilire dei legami solo con alcuni compagni.

Dalla documentazione prodotta emerge che tali difficoltà della minore permarrebbero anche nei tre anni delle scuole medie. Al termine di questo percorso, infatti, Pifferi mostra ancora alcune difficoltà cognitive e di apprendimento, tanto da risultare necessaria la permanenza del sostegno scolastico.

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