Cosa potrebbe rischiare Leonardo La Russa dopo la richiesta della Procura di accusarlo solo per revenge porn

La Procura di Milano ha chiesto l'archiviazione dell'inchiesta per violenza sessuale a carico di Leonardo Apache La Russa e dell'amico Tommaso Gilardoni, nata dopo la denuncia di una 25enne: i due sono indagati per i presunti abusi che si sarebbero verificati nel maggio 2023 nella casa milanese del presidente del Senato, al termine di una serata in discoteca. Alla richiesta delle procuratrici Letizia Mannella e Rosaria Stagnaro si opporrà Stefano Benvenuto, il legale che difende la ragazza. Per questo motivo spetterà alla gip Rossana Mongiardo decidere se archiviare il caso, disporre nuove indagini o ordinare l'imputazione coatta. Nel frattempo, le pm hanno chiuso un filone di indagine parallelo sempre a carico di La Russa e Gilardoni ai quali viene contestato (non in concorso) il reato di revenge porn.

La Procura ha chiesto l’archiviazione delle accuse per violenza sessuale su una ex compagna di scuola che aveva presentato denuncia nel giugno 2023. Leonardo La Russa e l'amico dj, ora, rischiano però di dover rispondere dell'accusa di revenge porn. Di cosa si tratta?
Con il neologismo anglosassone revenge porn si fa riferimento, in senso stretto, alla condotta di chi, per vendicarsi della fine di una relazione sentimentale, pubblica video e immagini sessuali dell’ex partner senza il suo consenso. Tuttavia, nel linguaggio comune, l’espressione viene usata per indicare tutte le forme di divulgazione non consensuale di immagini pornografiche o comunque aventi un contenuto sessuale. È questa l’accezione presa in considerazione dall’art. 612 -ter c.p., che punisce con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 5.000 a 15.000 euro, chiunque dopo averli realizzati o sottratti, consegni ad altri o comunque pubblichi e diffonda immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate. La stessa pena è prevista nel caso in cui sia diffuso senza consenso un video ricevuto da altri.
In questo caso il revenge porn sarebbe "aggravato poiché commesso con lo strumento telematico” per due distinti episodi di “diffusione di video a contenuto sessualmente esplicito senza il consenso della ragazza”. Cosa comporta questo, nello stabilire la pena?
È previsto l’aumento di un terzo: la pena massima, dunque, sarà pari a 8 anni. Lo stesso aumento di pena è, inoltre, previsto nel caso in cui il reato sia commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, oppure da una persona che sia o sia stata legata alla vittima da una relazione affettiva.
La Procura ha chiuso le indagini sul revenge porn. È un atto che prelude a una richiesta di rinvio a giudizio?
Di regola, quando la Procura notifica l’avviso di conclusione delle indagini è perché ha maturato un ragionevole convincimento sulla fondatezza delle accuse. Tuttavia, una volta ricevuto l’avviso, l’indagato ha facoltà di conoscere il contenuto delle indagini a suo carico e di esercitare una serie di attività difensive (farsi interrogare, depositare memorie, e così via) allo scopo di far cambiare idea al pubblico ministero.
L’accusa di violenza sessuale è stata archiviata. Era l’accusa più pesante? Quale pena si rischia con questo capo di imputazione?
Sì, era l’accusa più pesante. La violenza sessuale è punita, infatti, con la reclusione da 6 a 12 anni. La richiesta di archiviazione rappresenta un successo per la difesa di La Russa e dimostra che, anche per la Procura, gli elementi raccolti nel corso delle indagini non sono tanto gravi da formulare una ragionevole previsione di condanna. Per di più va considerato che il reato di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti è procedibile a querela di parte e che, a differenza della violenza sessuale, la querela può essere revocata. In linea teorica, dunque, le parti potrebbero anche accordarsi e chiudere la vicenda con la remissione della querela.
"Non è finita qui, noi andremo avanti”, ha dichiarato il legale della ragazza, che intende presentare opposizione alla proposta di archiviazione. Cosa succede in questi casi?
Entro 20 giorni dalla notifica della richiesta di archiviazione la persona offesa può opporsi e chiedere la prosecuzione delle indagini, indicando, a pena di inammissibilità, l’oggetto dell’investigazione suppletiva e i relativi elementi di prova. A quel punto, il giudice per le indagini preliminari fissa un’udienza per ascoltare le ragioni delle parti in causa e decidere se dare seguito all’archiviazione o indicare al pubblico ministero le nuove indagini da svolgere entro un termine preciso. È, inoltre, possibile (anche se poco frequente) che il giudice rifiuti l’archiviazione e consideri le indagini complete: in questo caso, ordinerà al pubblico ministero di formulare l’imputazione.