Cosa potrà rivelare e a cosa serve la perizia psichiatrica superpartes su Alessia Pifferi
La Corte d'Assise di Milano ha disposto la perizia psichiatrica su Alessia Pifferi, la donna accusata dell'omicidio volontario aggravato di sua figlia, Diana. L'accertamento psichiatrico è stato richiesto per valutare la sua capacità di intendere e di volere al momento del crimine, nonché la sua pericolosità sociale. L'incarico al perito verrà conferito il 13 novembre, e i risultati saranno disponibili nel 2024. La decisione della Corte è stata contestata dai pubblici ministeri, nonché dalla madre e dalla sorella di Alessia Pifferi, che sostengono che la donna non abbia problemi mentali e che sia stata consapevole delle sue azioni.
Alessia Pifferi è affetta da un vizio di mente?
Certamente, l’atteggiamento passivo con cui la Pifferi ha lasciato morire sua figlia Diana delinea le sue caratteristiche di personalità. Una donna con tratti personologici regressivi e sicuramente infantili. Non a caso in questa direzione all’interno del carcere di San Vittore, la Pifferi è stata sottoposta al test di Wais-R, che serve per la valutazione del quoziente intellettivo di un soggetto e consente di rilevarne sia i funzionamenti della norma sia quelli deficitari. Dai risultati emersi, il livello cognitivo di Alessia Pifferi è risultato essere di 40. Un valore fortemente deficitario ed inferiore a quello del 99 per cento della popolazione. Di qui la scelta della Corte di sottoporla a perizia psichiatrica.
Non può negarsi che si tratti di un quoziente intellettivo per certi versi invalidante, ma comunque secondo letteratura sufficiente per sviluppare delle strategie di adattamento. Strategie finalizzate alla sopravvivenza, appunto. Dunque, così come era in grado di percepire i suoi bisogni, non solo fisiologici, non si comprende il perché – a maggior ragione – Alessia Pifferi non dovesse essere in grado di percepire quelli di sua figlia di diciotto mesi. A quell'età si ha necessità di mangiare, di bere e di qualcuno che si prenda cura di noi.
Che erano più elementari non solo con riferimento ai suoi, ma anche rispetto a quelli riguardanti la programmazione di attività come quella della prostituzione. Un’attività finalizzata a recuperare soldi per lo svolgimento di attività ludiche con Angelo Mario. Dato che, dal suo punto di vista, cercava in ogni modo di soddisfare le esigenze del compagno. Della cui felicità e buona sopravvivenza si preoccupava maggiormente.
Il quadro psichiatrico di Alessia Pifferi merita davvero di essere approfondito?
Non c’è dubbio che il quadro psicologico e psichiatrico di Alessia Pifferi necessiti di un approfondimento peritale. I suoi tratti comportamentali non lasciavano margine di scelta alla Corte. Peraltro, la perizia psichiatrica è un mezzo di prova contemplato all’interno del sistema giudiziario e potrà anche in questo caso fornire strumenti dirimenti per l’attribuzione di responsabilità.
C’è però un dato incontrovertibile: il cambiamento di strategia, forse anche cognitiva, della donna rispetto alle prime fasi d’indagine e di detenzione. In questo senso, quel che è apparso sin dal primo momento, Diana era un ostacolo rispetto alla vita che voleva vivere. Lo ha dichiarato più volte Alessia Pifferi prima di ritrattarlo. Nella realtà dei fatti non ha mai voluto assumersi le sue responsabilità. Neppure adesso.
Ha costruito continuamente castelli di bugie sia quando Diana era solo nella sua casa, ed aveva raccontato ad Angelo Mario che l’aveva lasciata in compagnia della baby-sitter, sia alla sorella, quando le aveva detto che era con lei a Leffe. Finendo a colpevolizzare lo stesso compagno quando è stata sentita la prima volta in Tribunale. "Era lui a dirmi che potevo lasciare da sola la bambina mentre andavamo a fare la spesa, l’ho capito dopo aver parlato con le psicologhe". E ancora: "Volevo tornare dalla bambina ma avevo paura della reazione del mio compagno, lui diceva che non era il mio taxista".
Eppure, nei frangenti immediatamente successivi alla convalida del fermo, Alessia era lucida nel ribadire come quella figlia rappresentasse un ostacolo alla vita che lei voleva vivere. Non è un caso neppure il dato per il quale anche nei momenti conseguenti alla reclusione continuava ad ignorare Diana. Al contrario, era totalmente ossessionata dal compagno. La stessa ossessione che l'aveva indotta a prostituirsi per potergli regalare viaggi di lusso.
Ultimamente, però, come detto, sta correggendo il tiro. Innanzitutto, perché Alessia pifferi probabilmente sta acquisendo la consapevolezza non solo di ciò che ha fatto, ma anche di quelle che saranno le conseguenze in termini processuali. Adesso che è consapevole di rischiare l'ergastolo cerca di addebitare la colpa dei frequenti abbandoni la piccola Diana ad Angelo Mario. Tuttavia, pur cambiandone le vesti, quel compagno, ormai è diventato ex, resta al centro del suo mondo. Confermando ancora le sue priorità.
Per questa ragione sono pienamente condivisibili le parole del pubblico ministero (fortemente contestate dall'avvocato della difesa), che ha espresso tutta la sua contrarietà all’accertamento di un eventuale vizio di mente. Il perché, ripeto, lo si evince ripercorrendo quel che dichiarato dalla donna sin dall’interrogatorio di convalida del fermo. Alessia Pifferi ha dichiarato: "Sapevo che sarebbe potuto accadere". Sul punto, quindi, non ci sono dubbi che lei avesse accettato con cognizione il rischio che sua figlia Diana potesse morire se abbandonata in condizioni tali da mettere a dura prova anche un adulto. Figuriamoci una bambina di diciotto mesi, incapace di badare a sé stessa e ai suoi bisogni essenziali.
Alessia Pifferi era perfettamente capace di comprendere quelli che erano i suoi desideri e le sue volontà. Voleva un uomo ed una vita agiata. Per questo ha meccanicamente posto in essere tutta una serie di comportamenti che, seppur indirettamente, l’hanno trasformata in una madre assassina.