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Cosa dice la richiesta di assoluzione “per motivi culturali” per l’uomo accusato di maltrattamenti

Nella richiesta di assoluzione presentata dal pm di Brescia si legge che i maltrattamenti non sono stati riconosciuti perché “manca l’accertamento dell’abitualità” e che “per quieto vivere la donna accettava di avere rapporti sessuali con l’odierno imputato”.
A cura di Sara Tirrito
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L'esterno del tribunale di Brescia
L'esterno del tribunale di Brescia

Le dichiarazioni con cui il magistrato Antonio Bassolino ha chiesto l'assoluzione di un uomo imputato per maltrattamenti per motivi culturali hanno suscitato diverse polemiche nei giorni scorsi. La procura di Brescia si è dissociata dal magistrato e anche il ministro della Giustizia Carlo Nordio ne ha preso le distanze.

Il Consiglio superiore della magistratura nel frattempo ha chiesto l'apertura di un'inchiesta sul pm che l'ha redatta. A prendere l'iniziativa è stato Enrico Aimi di Forza Italia, consigliere laico dell'organo. Il forzista ha detto di volere l'indagine "per la gravità delle asserzioni del pm, che parrebbe giustificare se non autorizzare la violenza domestica".

A difendere Bassolino è stata invece l'Associazione nazionale dei magistrati (Anm) di Brescia, che ha attaccato gli organi di stampa perché "hanno dimostrato di non prestare adeguata attenzione alle complessità delle vicende giudiziarie" ed esposto alla gogna mediatica il loro collega.

Cosa c'è nella richiesta di assoluzione

La requisitoria, datata il 25 luglio, riguarda due capi di imputazione. Il primo è per maltrattamenti dal 2015 al 2019, con l'aggravante di aver commesso il fatto in presenza di minori, i due figli della coppia. Il secondo è volto a valutare l'esercizio della violenza coniugale, con l'aggravante di avere fatto uso di sostanze alteranti e riguarda il periodo che va dal settembre al novembre 2019.

Sull'intero caso, la procura aveva in un primo momento chiesto l'archiviazione. Ma il giudice per le indagini preliminari si era opposto, chiedendo l'imputazione coatta per evidenza di prove.

Nella requisitoria, il pm responsabile del fascicolo intende scagionare l'imputato sostenendo che in entrambi i casi il fatto non sussista. Per il primo capo di imputazione, a suo giudizio mancherebbe "l'elemento soggettivo tipico".  Per le violenze invece non ci sarebbero sufficienti elementi per sostenere che ci siano state.

I maltrattamenti denunciati

Per Bassolino, è dimostrato che la donna di 27 anni che ha denunciato suo marito aveva iniziato a vivere la loro relazione coniugale come "liberticida e insopportabile". Nel documento, non è in discussione il fatto che tra i due ci fosse "una convivenza difficile e litigiosa, caratterizzata dall'inadempimento reciproco ai doveri di solidarietà tra i coniugi".

Nonostante un matrimonio distrutto, che li aveva portati infatti al divorzio, per il pm "non sono emersi elementi idonei a realizzare quella pregnante offesa dell'integrità psico-fisica della vittima, tale da farla precipitare in una condizione duratura di sofferenza e prostrazione, tipica del reato di maltrattamenti".

L'elemento assente nelle valutazioni dell'accusa sarebbe la pianificazione abituale. Secondo la richiesta, una sola circostanza sarebbe stata provata oltre ogni ragionevole dubbio e riguarda uno schiaffo confessato dallo stesso imputato nel 2019. Tralasciando questo episodio, che comunque è avvenuto e dovrebbe avere una sua rilevanza, per il magistrato non ci sarebbero state abbastanza occasioni per dimostrare che si trattasse di maltrattamenti continuativi. "Ciò che difetta – scrive il pm – è proprio l'accertamento dell'abitualità: anche considerando veritiero in ogni punto il narrato (della donna, ndr)  si evidenziano soli tre episodi relativi a una relazione che copre un arco temporale di sei anni (2013-2019)".

Nella sua valutazione, "affinché sussista il reato di maltrattamenti, devono ricorrere fatti lesivi dell'integrità derivanti da una condotta di sopraffazione sistematica e programmata da parte del soggetto agente, tale da rendere la convivenza particolarmente dolorosa, con conseguente degenerazione del rapporto famigliare", che sarebbero assenti in questo caso specifico. "La condotta che avrebbe tenuto l'imputato – si legge – difetterebbe di quel requisito dell'abitualità, essendo inidonea ad aver determinato uno stato di asservimento e soggezione della vittima, tale da sottoporla a un regime di vita persecutorio e umiliante".

L'elemento "culturale"

Scagionando dal reato di maltrattamenti (art. 572 del codice penale) l'imputato, il magistrato ha spiegato la sua visione dei fatti denunciati dalla 27enne. "Si è trattato, in sintesi, di condotte episodiche – scrive – maturate in un contesto culturale, quello della comunità di riferimento, che sebbene inizialmente accettato (dalla donna, ndr), si è rivelato per costei, nei fatti, intollerabile proprio perché cresciuta in Italia e con la consapevolezza dei diritti che le appartengono".  Sarebbe proprio questa maturata coscienza che avrebbe spinto la donna, secondo Bassolino, ad allontanarsi dal marito "per conformare la sua esistenza a canoni marcatamente occidentali, rifiutando il modo divivere imposto dalle tradizioni del popolo bengalese e delle quali invece l'imputato si è fatto fieramente latore".

Nell'idea di Bassolino, "l'intolleranza della convivenza e della figura stessa dell'ex marito" avrebbe acuito un divario culturale preesistente tra i due. Dal suo punto di vista, la vittima avrebbe "creduto di poter accettare l'impianto culturale della famiglia d'origine, per ragioni legate soprattutto all'affetto e al rispetto nei confronti della sua famiglia, per poi realizzare di non potersi conformare ai dettami socioculturali e religiosi promananati dalla comunità bengalese".

A questo punto, la parte più contestata della richiesta: "I contegni di compressione delle libertà morali e materiali della donna da parte dell'odierno imputato – scrive il magistrato – sono il frutto del summenzionato impianto culturale e non della sua coscienza e volontà di annichilire e svilire la coniuge per conseguire supremazia sulla medesima". Bassolino conclude questa parte rimarcando che "la disparità tra l'uomo e la donna è un portato della sua cultura (dell'imputato, ndr), che la medesima (la parte lesa, ndr) aveva persino accettato in origine". Come se accettare una condizione di sottomissione all'inizio della relazione voglia poi dire doverla sopportare per sempre.

Le presunte violenze sessuali

Il secondo capo di imputazione riguarda le accuse di violenza sessuale. Per il magistrato bresciano, non ci sarebbero abbastanza prove a sostenerle. Sebbene le dichiarazioni della vittima possano da sole costituire un elemento di responsabilità penale dell'imputato, come peraltro prevede la legge, per Bassolino "la ricostruzione offerta (dalla donna, ndr) rispetto agli episodi di violenza sessuale appare poco chiara, certamente non lineare, confusionaria, ma soprattutto non corroborata da ulteriori elementi".

Dall'ascolto dei testimoni sarebbe emerso un solo caso di violenza sessuale riscontrabile, un fatto che la vittima avrebbe raccontato a un'altra donna ma che non avrebbe riportato nel suo resoconto giudiziario delle violenze subite. Secondo quanto ricostruito, lo stupro sarebbe avvenuto in un ospedale. Per il pm si tratta "di un evento che per la singolarità del luogo in cui è avvenuto dovrebbe rimanere particolarmente impresso e invero è addirittura assente nella ricostruzione fornita" dalla vittima.

Per questi motivi, per il magistrato non ci furono abusi. Nella sua richiesta di assoluzione, parla di rapporti sessuali che la vittima "accettava per quieto vivere (…) pur non avendone alcun desiderio". E tuttavia, questa tipologia di amplessi per lui "è ben lontana dalla costrizione che la norma incriminatrice richiede". Resta però da chiarire cosa sarebbe successo, in particolare alla donna, qualora fosse venuto meno quel "quieto vivere" che, secondo il pm, cercava di mantenere accettando rapporti sessuali non desiderati. E se il semplice fatto che la serenità familiare fosse messa in discussione dall'eventuale reazione dell'uomo non sia una forma di assoggettamento.

Nelle valutazioni del magistrato, a mettere in discussione l'ipotesi di reato è anche il comportamento della vittima. "Certo – aggiunge il pm – potrebbe astrattamente ricorrere l'abuso dell'autorità maritale, ma (…) non dovrebbe aversi un atteggiamento quale quello serbato dalla donna, cioè l'accettazione del rapporto per mantenere un ambiente coniugale più sereno". E con questa frase a essere sotto processo sembra più la vittima che l'imputato.

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