Stava tornando a casa dal suo turno di lavoro Manuel Mastrapasqua, un lavoro che faceva con non pochi sacrifici per mettere da parte i soldi per realizzare i suoi sogni. Mentre camminava, con le cuffie alle orecchie, si scambiava messaggi con la sua fidanzata che di solito gli faceva compagnia al telefono quando rientrava così tardi. Alle 2.55 stava registrando un ultimo audio, audio che non è mai riuscito a inviare.
A ucciderlo con una pugnalata al petto, Daniele Rezza, 19 anni, uscito di casa quella notte con un grosso coltello da cucina, "per difendersi" dirà lui quando verrà fermato.
Un ragazzo il cui profilo potrebbe essere ascrivibile quantomeno a quello di un soggetto con evidenti tratti antisociali associati a un'incapacità di controllo degli impulsi. Prima il precoce abbandono scolastico poi le accuse di reati commessi negli anni, che potrebbero essere indicativi di un malessere che non è stato adeguatamente ascoltato e contenuto.
Un disagio, la cui natura e gravità, dovrà ora essere definita da una serie di valutazioni approfondite che dovranno spiegare, a fronte di una pesante disregolazione emotiva, la lucidità e la freddezza che sembrano aver caratterizzato anche le fasi successive all’omicidio.
A diciassette anni avrebbe rubato un motorino, a diciotto anni avrebbe commesso una rapina con due complici ai danni di un ragazzo che poi sarebbe stato aggredito a pugni. Oggi l’accusa di omicidio. Nel mezzo una serie di condotte aggressive e inadeguate, come affermerebbe lo stesso padre di Daniele Rezza dicendo che "tante volte ne ha combinate diverse", come quando era capitato frequentemente che facesse a botte, o come quando si era trovato costretto a chiamare i Carabinieri perché il figlio era tornato a casa ubriaco, nonostante non dovesse fare uso di alcol, vista la terapia farmacologica che assumeva per l’epilessia. Un ragazzo che "faceva dannare" come avrebbe dichiarato la mamma.
La notte dell’omicidio Daniele Rezza esce di casa brandendo un grosso coltello che aveva preso da casa, le telecamere della zona lo riprendono con fare deciso, pochi istanti prima di incontrare Manuel Mastrapasqua. Un coltello che quasi brandisce, con un fare che appare più compatibile con quello di un individuo che è uscito con la volontà di aggredire qualcuno, più che per proteggersi dal contesto pericoloso del suo quartiere, come avrebbe lui stesso riferito.
Quindi l’incontro con Manuel Mastrapasqua, forse il tentativo di rubare le cuffie del valore di quindici euro o del denaro, come sostiene Daniele Rezza quando afferma "l’ho fatto per rubargli le cuffie". Più verosimilmente quelle cuffie sono state un pretesto, per porre in essere un’aggressione che doveva esordire con una rapina, con una modalità operativa che lui stesso aveva già posto in essere un anno prima, per poi arrivare all’aggressione con il coltello, mortale.
Quindi, il rientro a casa, dai suoi genitori, ai quali Daniele Rezza avrebbe raccontato, non si sa ancora bene in che termini, quanto accaduto. I genitori sostengono di non aver creduto alle parole del figlio, di fatto il padre avrebbe dichiarato però di aver lavato gli abiti che Daniele Rezza indossava la notte dell’omicidio e di aver buttato via le cuffie che il figlio aveva portato, su sua espressa richiesta.
Gettate non nella spazzatura di casa, come forse ognuno di noi avrebbe fatto, non sospettando che quelle cuffie potessero essere un elemento di prova, ma a qualche isolato di distanza. Quindi, il sabato, questo papà ha accompagnato suo figlio alla stazione ferroviaria più vicina affinchè Daniele Rezza prendesse un treno.
Il ragazzo è stato fermato dalla Polfer alla stazione di Alessandria e avrebbe nell’immediatezza confessato l’omicidio "ho fatto una cazzata, ho ucciso una persona a Rozzano".
Un’affermazione questa che se confermata, può dirci molto sul suo funzionamento, sulla minimizzazione del gesto compiuto, un omicidio che viene definito una "cazzata", ma anche sulla sua capacità di lucida gestione delle fasi successive all’omicidio, con l’intento forse, di darsi alla fuga.
L’incapacità di provare empatia, di comprendere il disvalore delle sue azioni, un crescendo di condotte antisociali poste in essere come espressione di un disagio a cui forse sono seguite altrettante minimizzazioni, di certo l’incapacità di un sistema familiare oltre che sociale, di contenere agiti che erano la chiara espressione di una crescente pericolosità sociale.