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Condannati i giovani neonazisti della “Milano bene”, ma né “Breivik” né gli altri andranno in carcere

Sono stati condannati due dei giovani studenti universitari milanesi accusati di aver creato l’organizzazione neonazista “Avanguardia rivoluzionaria”. Altri due hanno patteggiato. Nessuno di loro però andrà in carcere.
A cura di Francesco Loiacono
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Sono stati condannati i giovani neonazisti della "Milano bene" accusati di aver creato l'organizzazione "Avanguardia rivoluzionaria", impregnata di xenofobia e suprematismo. Per "Breivik" e gli altri tre compagni, che avevano scelto altri emblematici nomi di battaglia come "Maggiore Volpi", "Milite Zucht" e "Comandante G", sono arrivate due condanne a due anni e a un anno e mezzo di carcere, per i due che avevano scelto il processo con rito abbreviato, e due patteggiamenti a un anno e mezzo di carcere per gli altri due componenti dell'organizzazione neonazista. Nessuno tra i quattro però andrà in carcere: la pena è stata sospesa e si è deciso inoltre per la non menzione.

A decidere sulle condanne e sui patteggiamenti è stata la giudice per l'udienza preliminare di Milano Sofia Fioretta. La Procura aveva chiesto pene superiori, da tre a due anni, ma nonostante lo "sconto" del gup gli avvocati dei quattro hanno preannunciato ricorso in appello e uno dei legali degli imputati, Davide Steccanella, ha parlato di una "sentenza ingiusta che condanna idee e non fatti come rivela la esiguità della pena".

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I quattro neonazisti erano stati fermati lo scorso luglio in centro a Milano

I quattro imputati, tutti giovani studenti universitari tra i 20 e i 21 anni, erano stati fermati nel luglio dello scorso anno dalla Digos nella centralissima via Moscova, a Milano: in uno zaino erano stati trovati un manganello, un coltello, dei passamontagna e dei santini di Hitler e Mussolini. Secondo le indagini coordinate dai magistrati Enrico Pavone e Alberto Nobili, capo del pool antiterrorismo della procura, i quattro avevano progettato un raid contro un attivista dei centri sociali di origini magrebine. Nelle intenzioni del gruppo l'azione punitiva, che non si verificò solo grazie a un controllo della Polizia che indagava già da sei mesi su di loro, non doveva però essere rivendicata perché i tempi non erano ancora maturi per la loro rivoluzione: "L'azione la vorrei fare a prescindere perché è un musulmano di merda che non dovrebbe neanche stare nella nostra nazione", diceva, intercettato, uno dei ragazzi durante la pianificazione del raid, aggiungendo: "Mi raccomando non bisogna dire neg.. di merda, non deve essere riconducibile a questioni razziali. Ovvio che per noi è razziale, ma non dirgli neg.. di merda muori". Secondo il magistrato Alberto Nobili, inoltre, il gruppo stava cercando di costruire una "rete nazionale e con collegamenti internazionali" e avrebbe preso contatti con l'organizzazione svizzera "Junge Tat".

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