Concesso il suicidio assistito a un paziente lombardo: è il decimo caso in Italia
Un paziente in Lombardia potrà accedere al suicidio assistito. Si tratta del decimo caso in Italia: l'uomo ha una condizione patologica irreversibile e per questo gli sono stati riconosciuti i quattro criteri previsti dalla Corte Costituzionale dopo la sentenza sul caso di dj Fabo.
A darne al notizia è stata l'associazione Luca Coscioni nello stesso giorno in cui la proposta di legge di iniziativa popolare sul suicidio assistito verrò discussa anche nel Consiglio regionale lombardo. Questo caso sarebbe la decima richiesta arrivata alle aziende sanitarie regionali tanto da attivare le commissioni mediche. Per ogni paziente si valuta se ha i requisiti fissati dalla suprema Corte, ovvero: l’irreversibilità della patologia, la dipendenza da sostegni vitali, la presenza di sofferenze non sopportabili e la capacità di prendere decisioni libere e consapevoli. Ad oggi però c'è ancora un vuoto normativo che non permette che la persona che decide di intraprendere questo percorso sia assistita dal servizio sanitario pubblico. Motivo per cui spesso i pazienti decidono di andare in Svizzera.
L'associazione Luca Coscioni nel dettaglio ha spiegato così il decimo caso italiano, in un post su Facebook: "Una persona malata in Lombardia ha ottenuto il riconoscimento delle proprie condizioni come idonee per ottenere il "suicidio assistito" come previsto dalla sentenza della Corte costituzionale sul caso Cappato, dopo 6 mesi dalla richiesta".
E poi precisano: "Rimangono ora da chiarire il farmaco, i tempi e le procedure. Il Consiglio regionale potrebbe ora rimediare a questa situazione offrendo garanzie non solo alle persone che soffrono, ma anche ai medici e al personale sanitario, con l'approvazione della proposta di legge popolare ‘Liberi Subito'. Invece, la Regione si prepara ad affossare la legge, sottoscritta da 8.181 persone, sollevando una pregiudiziale di costituzionalità. Pregiudiziale infondata, essendo la materia di piena competenza della Sanità regionale, come dimostra anche il caso di Laura Santi, che dopo due anni di battaglie, anche giudiziarie, ha visto riconosciuto questo diritto dal Sistema sanitario dell'Umbria".