“Con il caldo peggiorano le condizioni di assistenza ai migranti”: la denuncia di Emergency a Fanpage.it
Ieri, mercoledì 19 luglio, è morto un ragazzo di appena 18 anni: era arrivato dal Gambia e si trovava in un centro di accoglienza a Lecco. È morto annegato nel lago di Como dove aveva scelto di andare per rinfrescarsi. Sabato 11 luglio è morto un altro ragazzo di 19 anni: Alberto Ochoa Duenas è annegato nel laghetto del Parco delle Cave. Era arrivato a Milano solo tre mesi fa e, stando a quanto diffuso fino a questo momento, avrebbe vissuto in condizioni precarie.
Proprio il giorno della sua morte, prima di recarsi al lago con uno zio, aveva fatto una lunga fila sotto al sole cocente fuori dalla mensa dell'Opera San Francesco. Questi due casi lasciano con sé diversi interrogativi su come funzioni l'assistenza nei confronti di chi è arrivato in Italia in cerca di un futuro, ma ha trovato la morte in un lago.
A fornire sostegno a persone fragili che, soprattutto con le elevate temperature di questi giorni, vedono accentuarsi le loro difficoltà è Emergency. L'organizzazione, proprio a tal fine, è attiva a Milano con un ambulatorio mobile per fornire assistenza medica, infermieristica, supporto psicologico e servizi di mediazione culturale a chiunque ne possa aver bisogno. E sempre nel capoluogo meneghino opera con il progetto Nessuno Escluso per aiutare a trovare un'abitazione o fornire assistenza burocratica.
"L'impatto climatico è sicuramente un fattore che può creare disagio, ma diciamo che c'è un problema a monte: ci sono disagi legati a un'accoglienza che non c'è o dato da problemi burocratici. Questi due fattori sono indipendenti dal fatto climatico", spiega a Fanpage.it Michele Iacoviello, coordinatore degli ambulatori mobili di Programma Italia Emergency.
È però vero che alcune strutture in condizioni non dignitose. Questo unito alle elevate temperature può rendere impossibile la quotidianità di chi vive in situazioni di disagio?
Dipende dalle strutture: ce ne sono di migliori e di peggiori, di sovraffollate o meno. Il problema è il sistema di accoglienza che, purtroppo, fa acqua da tutte le parti, non consente di supportarle con servizi e assistenza psicologica, né di integrarle.
Nel caso del ragazzo morto annegato nel lago di Como, ancora non sappiamo come sia successo.
Manca quindi un'assistenza adeguata?
Sì, manca una assistenza adeguata e ben strutturata che fornisca ai migranti un percorso di inserimento all'interno del nostro Paese. Nella maggior parte dei casi, molti di loro vivono in centri di prima accoglienza pur avendo diritto a passare al centro sistema di seconda accoglienza.
Quest'ultimo prevede percorsi individuali, di formazione e inserimento lavorativo. Con le nuove riforme il numero di persone che possono accedere alla seconda accoglienza è stato ridotto.
Nei centri di prima accoglienza i ragazzi non sono seguiti. Si creano spesso disagi in persone che avevano immaginato un percorso migratorio e un futuro differente e che, una volta arrivati in Italia, vedono morire in questi centri dove non viene costruito un progetto di riferimento.
Questo porta a una concatenazione di conseguenze: il disagio porta all'isolamento, l'isolamento porta alle tragedie o a entrare in circuiti irregolari. Porta all'essere costretti a vivere in condizioni disumane. A vivere nei ghetti, nelle baracche, nelle stazioni. Sussiste una forma di disagio che non viene presa in considerazione che coinvolge anche cittadini non extracomunitari, ma anche italiani e cittadini comunitari.
Molti di loro poi non hanno mai visto laghi, fiumi o mare e non sanno nuotare.
È vero. Alcuni ragazzi attraversano il Mar Mediterraneo, da quello che ci dicono, senza saper nuotare.
Il caldo degli ultimi giorni, accentua le condizioni di disagio?
Sicuramente le alte temperature possono accentuare problemi o traumi pregressi, per questo è importante che vengano presi in carico e seguiti in contesti e con modalità umane. In caso di migranti, ci troviamo spesso di fronte a persone che devono quindi gestire un trauma da soli senza strumenti opportuni.
Parliamo di persone che vivono un disagio e che sono abbandonate a loro stesse. Spesso vivono nei ghetti costruiti nelle aree per la raccolta di prodotti agricoli: parliamo di zone dove ci sono elevate temperature, non ci sono servizi, non c'è acqua corrente.
In questi casi il disagio sfoga in incoscienza che va dall'andare a buttarsi in un lago ad atti violenti. Le persone non sono supportate e seguite; troppo spesso i centri di accoglienza sono strutture sovraffollate in cui è complicato gestire le singole problematiche e che non garantiscono i servizi più basilari per persone che hanno affrontato un lungo viaggio e subito costanti traumi, come ad esempio il supporto psicologico.
Questo fa sì che una persona veda fallire tutti i suoi sacrifici. Questo porta alla disperazione e la disperazione al disagio collettivo.
I cambiamenti climatici accentuano le differenze tra chi è privilegiato e chi non lo è?
Non si emigra solo per le guerre e le violenze, ma anche per le conseguenze del cambiamento climatico. In Italia lo vediamo indirettamente perché è un fenomeno che ha un impatto maggiore nel sud del mondo. Ma è chiaro che ha ripercussioni: milioni di persone si spostano per il cambiamento climatico. Alcuni di quanti arrivano in Italia, migrano per poi finire a vivere in una baracca di un campo, ad esempio del Foggiano.
Sia il caldo eccessivo, ma anche il freddo eccessivo rendono più complesso la gestione di un disagio soprattutto se non vivi in una condizione umanamente accettabile. È necessario seguire e prendere in carico il disagio in generale dando servizi e assistenza.