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Come la ‘ndrangheta si è spartita il territorio Comasco e perché si è sfiorata la guerra di mafia in Lombardia

Tra le locali di ‘ndrangheta nel comasco, sotto osservazione dell’antimafia ci sono anche quelle di Erba e Canzo. Negli ultimi anni la tensione per il controllo dello spaccio di droga tra i due gruppi criminali è aumentata tanto che si è sfiorata una guerra di mafia in Lombardia.
A cura di Giorgia Venturini
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Ci sono confini, seppur non visibili, ben tracciati tra le varie organizzazioni criminali in Lombardia. Servono per spartirsi le piazze di spaccio e a gestire il traffico illecito di sostanze stupefacenti. Soprattutto se i protagonisti del mercato illecito sono locali di ‘ndrangheta rivali. Regole e accordi sono ben scanditi nell'ultima operazione dello SCO (Servizio centrale operativo) e dalla Squadra mobile di Como, che ha portato questo mese all'arresto di 30 persone nel Comasco. E in questa provincia la ‘ndrangheta è da anni presenza fissa.

Tra le locali di ‘ndrangheta nel comasco, sotto osservazione dell'antimafia ci sono anche quelle di Erba e Canzo. Qui il confine che delimita la competenza dello spaccio di droga è stato identificato nel lago del Segrino, un piccolo bacino d'acqua nel Comune di Eupilio: prima del lago (arrivando da Como) i pusher dipendono dagli ‘ndranghetisti di Erba, dopo da quelli di Canzo.

Chi sono i protagonisti? A Canzo la locale è in mano a Luigi Vona che tra i fedelissimi aveva Vincenzo Milazzo, 34enne ora in carcere era in grado di gestire per anni 200 consegne di droga al giorno. I vertici invece della locale di Erba sono Michele e Pasquale Oppedisano (padre e figlio) ed Edmund Como.

Il patto tra i due gruppi rivali per il traffico di sostanze stupefacenti

All'inizio nessuno dei due gruppi rivali era mai stato diposto a cedere "quote" del loro mercato di droga: questo vuol dire che ognuno agiva indipendentemente fino a quando nel 2020 i referenti di Erba hanno proposto un accordo per lo spaccio che ha portato ad alzare il rischio e le tensioni tra i due gruppi rivali.

Era il primo marzo del 2020 quando – come emerso da una chiamata di Milazzo, intercettata dagli investigatori – quest'ultimo riferisce di aver partecipato a un summit con alcuni membri della locale di ‘ndrangheta di Erba per "regolamentare lo spaccio di sostanze stupefacenti a livello territoriale, nel corso del quale gli Oppedisano avevano proposto a Milazzo un piano di spartizione del territorio", come si legge negli atti della Procura. Ovvero: i vertici ‘ndranghetisti di Erba volevano impugnare tutta la zona. Milazzo in una chiamata intercettata spiega il piano che gli hanno proposto:

Che nessuno più da qua può prendere roba da fuori…devono andare tutti da uno a prenderle e basta…io devo dirigere tutto e tutti…quindi la zona è nostra…Gli han detto che…mi han detto che io, tutti quanti devono rivolgersi a me, se non si rivolgono a me non lo…solo che abbiamo avuto un attimo di…perché loro vorrebbero che io proprio non tocchi nulla…ho detto oh io non è che sono vecchio c'ho 34 anni…me la sento ancora di fare…i c***i miei…eh loro mi fanno e se ti succede qualche cosa a te chi è che possiamo prendere che ti può…che può prendere prendere il tuo posto…non ce n'è in giro che possono prendere il tuo posto quello che sai fare te non lo sa fare nessuno, quindi, tu hai l'obbligo di stare attento a tutto…non devi…ci passeranno anche loro la clientela, ci passeranno tutto, avvocati, medici, ristoranti tutto quello che c'è in giro.

Milazzo e Vona non erano d'accordo però a scendere a compromessi con la vicina locale: entrambi concordavano sul fatto che si dovesse continuare ognuno per la propria strada. Milazzo in una intercettazione aveva riassunto così la conversazione avuta con il suo "capo" Vona: "Gli ho detto che c***o ci andiamo a fare con loro…non sanno nemmeno come si lavora…devono trovarsi la pappa pronta, invece di essere loro per noi dobbiamo essere noi per loro…ma stiamo scherzando".

Il 5 marzo 2020 dunque Vincenzo Milazzo era riuscito a convincere Luigi Vona a rifiutare la proposta degli Oppedisano: i due decisero di estromettersi dall'affare "narcotraffico" perché non erano disposti – "dopo 7 anni di duro lavoro" – a cedere quote della loro fetta del mercato di droga in Lombardia. Questo permetteva loro così di mantenere il monopolio sul territorio vicino al lago del Segrino.

Pochi giorni dopo però, ovvero l'8 marzo dello stesso anno, Michele Oppedisano, scontento del rifiuto di Vona dall'accordo, aveva riaperto la discussione sulle competenze concentrando la questione sui territori a Sud e a Nord del lago del Segrino. E alla fine si stipulò un accordo. Durante questo ennesimo incontro, Milazzo avrebbe confermato a Pasquale Oppedisano che si "sarebbero riforniti di cocaina da loro a un prezzo congruo, e la famiglia di Erba avrebbe partecipato ai relativi guadagni derivanti dalle successive cessioni". Milazzo aveva però da sempre precisato che a decidere era Vona: "Quello che dice lui lo faccio anche io".

Le tensione tra le due organizzazioni e il rischio di una guerra

Anche se alla fine un accordo c'è stato, le tensioni non sono mai mancate. Durante questi ultimi incontri sarebbe stato Michele Oppedisano a precisare al duo Milazzo e Vona che: "Allora rimaniamo che voi a Erba piede non ce lo mettete…arrivate fino al Segrino perché a Erba ci siamo noi". Dopo questa discussione Milazzo avrebbe iniziato a camminare armato "avendo timore di azioni dimostrative o ritorsive da parte della fazione avversa", come spiegano gli atti del Tribunale.

Milazzo aveva risposto con toni accesi così al gruppo rivale erbese: "Io quello che dite voi me lo metto in tasca, io ascolto quello che mi dice Luigi (ovvero Vona, ndr)…ho coltivato per sette anni, vengo e vi regalo a voi altri?". Poi aveva riferito in una chiamata – sempre intercettata – la conversazione avuta con Michele Oppedisano:

L'ho guardato e poi gli ho detto facciamo una cosa caro Michele, con tutto il rispetto gli ho detto lei ha una età…e io ho la mia, però in piazza, con tutto il rispetto ci sono io e Raimondo (ovvero Edmond Como) a quanto mi risulta da parte vostra perché suo figlio (ovvero Pasquale Oppedisano) è a casa sotto le coperte la sera…se non mi sbaglio…vuole il 50 per cento? Pasquale da stasera sale in macchina con me sto in giro fino alle sette di mattina, o non vuole salire in macchina con me? Cosa sono 200 clienti da fare 100 lui e 100 io, però fino alle sette devo stare in giro.

E ancora, riferendo una conversazione con Raimondo: "Gli ho detto Raimondo ancora queste pistole…tenetele in tasca perché tu spari, quell'altro spara…". A questo punto delle discussioni tra i gruppi rivali il pericolo di possibili ritorsioni da parte della locale di Erba nei confronti di Vincenzo Milazzo era alto. Tanto da arrivare a parlare di una eventuale guerra. Ad avere un ruolo "mitigatore" era però Luigi Vona che voleva evitare uno scontro tra le due fazioni. Alla fine – come spiegano gli atti del Tribunale – "sebbene le tensioni tra il gruppo di Erba e quello di Canzo non accennassero a diminuire, dalle conversazioni intercettate emergeva che il rapporto di collaborazione tra i due sodalizi – che prevedeva che Milazzo si rifornisse di stupefacenti dagli Oppedisano – era stato raggiunto e attuato".

Questo significava anche che l'accordo e la vendita di stupefacente nel Comasco non era saltato nel pieno dell'emergenza Covid in Lombardia. Alla fine come è finita? L'inchiesta dello SCO (Servizio centrale operativo) e dalla Squadra mobile di Como hanno portato all'arresto di 30 persone, tra cui i protagonisti di questo giro della droga.

Chi è Vincenzo Milazzo e che legame ha con Cosa Nostra

Certo è che Vincenzo Milazzo aveva un ruolo fondamentale nelle piazze di spaccio del Comasco. Riusciva a fare 200 consegne di droga in un giorno, non dipendeva – operativamente parlando – da nessun altro. Faceva da solo. Alle sue "dipendenze" aveva una rete di pusher a cui dava uno stipendio. Lo ha spiegato sempre Milazzo in una chiamata intercettata: "Io do lo stipendio, c'è chi ne guadagna 1.500 euro, c'è chi ne guadagna 3mila perché mi lavora di più, c'è chi guadagna mille perché mi fa qualcosa in meno, io l'ho gestita così…gli garantisco avvocato…al momento che sono in carcere gli garantisco la famiglia che sta bene…". E nonostante Milazzo non avesse origini calabresi "ma non per quello scendo in Calabria…siamo così di famiglia".

Secondo lui però poteva vantare origini più "illustri" in fatto di criminalità organizzata. Spiegava infatti che le sue origini siciliane erano più illustri dal punto di vista criminale: come riportano gli atti del Tribunale, "l'indagato, infatti, raccontava che suo nonno e suo padre erano fedelissimi di Peppe Di Cristina, boss di cosa nostra della famiglia di Riesi (Caltanissetta), ucciso da Totò Riina e dai corleonesi, in quanto si erano opposti alla strategia di Totò ‘u curtu". Milazzo si vantava: "De Cristina sai chi è? Peppe De Cristina non l'hai visto il capo dei capi? Peppe De Cristina voleva mio padre…come guardia del corpo ok…siamo persone arrivate da lì..mi viene a far paura un calabrese? …lo ha ammazzato Totò Riina".

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