Come la ‘ndrangheta risolveva i giochi di potere della Curva del Milan: su chi potevano contare gli ultras
Affari, vendette e giochi di potere: si potrebbero riassumere così gli interessi della Curva Sud di San Siro. Perché il tifo organizzato del Milan – finito nel mirino della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Milano – poco ha a che fare con vittorie e sconfitte della squadra in campo.
Si cercava di ottenere il potere all'interno dello stadio Meazza anche negli anni passati. Nel 2018 a contenderselo sarebbero stati Luca Lucci e Domenico Vottari (mai indagato per mafia): la rivalità era nata per prendere il controllo del secondo anello blu a San Siro e il corrispettivo business a esso legato. Le "mire espansionistiche" di Vottari in un primo momento erano state frenate nel 2006 quando nei suoi confronti era scattato l'arresto, ma una volta fuori dal carcere avrebbe rispolverato il suo piano. E non era solo in questa impresa.
Vottari, a capo del gruppo emergente Black Devil, per portare avanti i suoi interessi si sarebbe rivolto al 74enne Giuseppe Calabrò, detto ‘u Dutturicchiu e condannato per droga e mai per mafia, ma da sempre all'attenzione della Direzione Distrettuale Antimafia per le sue vicinanza alla cosca di ‘ndrangheta di San Luca e di Platì (Reggio Calabria). Calabrò ora è anche tra gli imputati del processo sull'omicidio di Cristina Mazzotti, la giovane sequestrate e uccisa negli anni '70 per avere il riscatto alla famiglia.
Secondo il giudice per le indagini preliminari Santoro, Vottari si sarebbe rivolto e affidato a Calabrò per fare da mediatore con i rivali. Così, sugli affari dell'anello blu – ovvero "quello che vogliamo noi" – Calabrò avrebbe speso le proprie influenze e il proprio nome esponendosi in prima persona.
Dall'altra parte il piano di Vottari – a cui sarebbe legato anche Enzo Anghinelli – nel 2018 avrebbe scatenato l'immediata reazione di Lucci, allora leader indiscusso della tifoseria rossonera. Stando a quanto riporta la gip, Lucci avrebbe a sua volta chiesto l'intervento di personaggi appartenenti alle famiglie di ‘ndrangheta di Platì – ovvero Barbaro-Papalia che in Lombardia fanno ‘sede' a Buccinasco – per convincere Vottari a rinunciare ai propri propositi.
I termini della controversia sarebbero stati discussi anche durante un summit che si sarebbe volto il 13 aprile 2018 in un bar di Castellazzo, frazione di Bollate: in questo incontro Calabrò avrebbe dato le sue direttive per risolvere la rivalità.
E ancora: secondo gli atti del Tribunale, a favore di Lucci ci sarebbe stato un altro personaggio originario di Platì della famiglia Trimboli, soprannominato "Sarino" nelle varie chiamate intercettate dagli inquirenti. Riassumendo quindi: da una parte sarebbe toccato a Calabrò risolvere le controversie, dall'altra parte a Sarino.
A bloccare però i piani di rivalsa di Vottari contro Lucci sarebbe stata proprio la presenza di Trimboli: se "Sarino" si fosse estromesso dalla vicenda, il capo di Black Davil avrebbe dato seguito ai suoi propositi contro Lucci. Ma così non è stato: Lucci – secondo il gip che lo ha arrestato anche perché ritenuto mandante del tentato omicidio a Enzo Anghinelli – sarebbe sempre stato pronto a difendere negli anni il potere da lui conquistato, anche se questo voleva dire impugnare le armi. Ma perché le famiglie di ‘ndrangheta avevano tutto questo interesse per i giochi di potere degli ultras?
Secondo Calabrò che di Vottari l'interesse e la protezione offerta dalle famiglie di ‘ndrangheta di Platì sarebbe stato legato a interessi economici potendo contare su "una gallina dalle uova d'oro". Al termine di ogni partita si sarebbero raggiunti introiti contanti fino anche a 100mila euro, che si sarebbero divisi all'interno del gruppo di Lucci. E che quindi parte dei soldi sarebbe arrivato anche alle famiglie di Platì coinvolte. Un giro di affari e alleanze che ora le inchieste della Procura di Milano stanno portando alla luce.