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Come facevano propaganda jihadista sui social i due indagati per terrorismo a Milano: i loro post su Facebook

I due uomini arrestati per terrorismo a Milano erano impegnati soprattutto in attività di propaganda sui social network: ecco cosa postavano su Facebook.
A cura di Giorgia Venturini
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Alaa Refaei e Gharib Hassan Nosair Mohamed Nosair, finiti in carcere a seguito dell'operazione antiterrorismo di Milano condotta dalla polizia e coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia e Antiterrorismo, utilizzavano i social per fare propaganda a favore del jihadismo in generale e dell’Isis in particolare. Ma cosa facevano su Facebook e Whatsapp? Negli ultimi anni erano "abitualmente dediti al download" di materiale di propaganda che poi veniva condiviso su diverse piattaforme: entrambi svolgevano "una consapevole e deliberata attività di proselitismo via social a favore dell’Isis", spiega il giudice per le indagini preliminari dell'ordinanza di applicazione della custodia cautelare. Ora i due dovranno difendersi dall'accusa di partecipazione e associazione con finalità di terrorismo internazionale.

La strategia utilizzata sui social

I due indagati utilizzavano i social per fare propaganda con una specifica strategia: commentavano post di altri e aprivano più profili così da evitare che venissero tutti bloccati. La Procura spiega così come i due indagati agivano:

"L’aperto sostegno all’ISIS, veicolato attraverso la detenzione e la condivisione del materiale propagandistico (mediante tutti gli strumenti che i social mettono a disposizione: la continua creazione di profili, la condivisione di contenuti, i commenti e i like ai post di altri, l’uso di chat di messaggistica istantanea alternativamente con applicativi in chiaro, come WhatsApp, e con altri cifrati, come Telegram) non è limitata a una condivisione ideologica degli obiettivi dell’organizzazione terroristica, ma è espressamente rivolta anche al metodo estremamente violento attraverso il quale detta organizzazione, e più in generale le organizzazioni terroristiche di matrice jihadista, cercano di perseguire i propri obiettivi".

I video e il materiale, che gli indagati diffondevano, rappresentavano espressamente immagine terroristiche violente: dalle uccisioni di civili inermi e considerati infedeli a contenuti con protagonisti i bambini sia come vittime di attentati, rapimenti e uccisioni, "sia come autori degli stessi in nome della Jihad sotto la guida dei loro padri".

E ancora: Refaei il 30 novembre del 2022 aveva pubblicato il giuramento di fedeltà alla Stato Islamico e il 3 ottobre sempre dello scorso anno aveva rilasciato un commento di minaccia sotto a un post. Il commento era diretto alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e riguardava una foto con la premier insieme a Silvio Berlusconi: "Non ti preoccupare per noi, sappiamo benissimo come zittirli e fermarli al momento giusto…viviamo con loro da banditi…pronti a colpirli a ciabattate".

Uno degli indagati spiegava come usate le armi

Nosair invece è il più convinto nell'attività di proselitismo tanto da guidare l'altro indagato nella più totale radicalizzazione. Anche lui sul web condivideva e inneggiava a condotte stragiste nei confronti dei civili, parlava direttamente dell’uso di armi, convincendo gli altri a impugnarle. Lo scorso anno durante una conversazione con amici diceva: "Sparare con una arma da fuoco ti fa avere un cuore di ferro, qualsiasi persona che spara diventa rigida, con quella da fuoco… Perché io, ho sparato, ed all’inizio avevo paura ma dopo mi sono abituato, hai capito?".

Era lui a capire che creando sempre nuovi profili si compensava la chiusura di più pagine da Facebook. Questi nuovi profili mettevano in contatto più persone. Così come sui social così come nelle chat Whatsapp: tra i contatti sul cellulare di Nosair c'erano anche molti numeri esteri riconducibili a territori tuttora occupati o sotto l’influenza dello Stato Islamico.

Cosa scrivevano nei commenti sui social i due indagati

Stando a quanto emerso dalle indagini Refaei metteva il like in un post in cui era stato pubblicato un video con un messaggio di propaganda jihadista Isis con incitamento alla Jihad contro i nemici. Un altro like era stato messo al video in cui un "Nasheed jihadista di propaganda Isis spiegava il metodo utilizzato dai leoni dell'Islam per effettuare una serie di attacchi mirati con tunnel pieni di esplosivo contro i nemici".

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Nosair, secondo la Procura, è risultato essere attivo nel creare un collegamento diretto con la lista di "amici" sui social e in particolare con profili che "hanno dimostrato la loro partecipazione a un'intensa attività propagandistica ovvero il coinvolgimento di soggetti che si sono dichiarati combattenti facenti parte di formazioni aderenti allo Stato islamico, definiti esponenti o quanto meno aderenti alla campagna di propaganda dell'organizzazione terroristica". Lui stesso due anni fa aveva postato un video in cui incitava i credenti alla lotta.

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Poi non mancano i commenti che invitano a impugnare le armi. Nosair è stato intercettato in cui spiega l'uso dettagliato delle armi, dimostrando in questo modo che lui le aveva già provate. Così spiega in un gruppo Whatsapp: "La pistola da starter non è pericolosa, non può ferire, il rumore si brucia all’interno della canna, non ha un proiettile, la sua combustione avviene all’interno, mentre quella vera spara così la polvere da sparo si accende, e quella parte che esplode forma dei cerchietti così, la parte che esce fuori, è quella che colpisce…’’.

Per poi aggiungere invece che "sparare con una arma da fuoco ti fa avere un cuore di ferro, qualsiasi persona che spara diventa rigida, con quella da fuoco… Perché io, ho sparato, ed all’inizio avevo paura ma dopo mi sono abituato, hai capito?".

I bonifici inviati alle donne dei combattenti

I due indagati utilizzavano i social per inviare anche soldi nei territori occupati dallo Stato Islamico. I destinatari del denaro non erano famigliari o amici, quanto piuttosto persone estranee riconducibili all'Isis: questo lasciava ipotizzare che entrambi svolgevano una attività di finanziamento verso l'organizzazione terroristiche. I beneficiari si trovavano nello Yemen o in Palestina ed erano soprattutto donne dei combattenti.  L'attività di finanziamento era spiegata così dai magistrati:

Il rinvenimento nelle chat di WhatsApp di ricevute di transazioni finanziare disposte a favore di presunte donne, a loro dire in stato di indigenza e necessitanti aiuto, stanziate in Yemen e Palestina. Questi gesti testimoniano come Nosair dimostri il suo appoggio alla causa non solo con la vicinanza ideologica, ma anche con gesti concreti e tangibili. La presenza di molteplici numerazioni estere all’interno delle chat di WhatsApp molte delle quali riconducibili a territori tuttora occupati o sotto l’influenza dello Stato Islamico.

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