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Cochi Ponzoni: “Milano è al passo con i tempi, vivo in un quartiere multietnico e non ci sono mai problemi”

“Io vivo in un quartiere multietnico, Dergano. Peruviani, cinesi, magrebini, tutti hanno la loro attività e vivono tranquillamente, senza alcun problema”: a smentire i problemi legati all’integrazione è Cochi Ponzoni, milanese da generazioni.
A cura di Paolo Giarrusso
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Ultimo di tre figli e unico maschio, Aurelio Ponzoni riceve il soprannome Cochi dalla madre Adele Cattaneo, ispirata da un personaggio del Corriere dei Piccoli. Iscritto alla sezione di ragioneria dell’Istituto Tecnico Carlo Cattaneo, conosce Renato Pozzetto. A 18 anni si reca a Londra. Dall’esperienza in quella capitale europea, trarrà ispirazione per creare il personaggio, accurato ed elegante che lo renderà famoso.

Nel 1962, nasce il sodalizio con Pozzetto. Un grande successo. Possiamo parlare di una comicità rivoluzionaria, surreale, fatta di gags fulminee ed esasperanti?

Sì. Diciamo che la nostra verve comica, riguardava un linguaggio privato fra noi due che, sin da ragazzi, avevamo una simbiosi e una comunità di vedute, per quanto riguarda le cose divertenti, che ci rendeva molto simili e anche molto in preda alle nostre fantasie un po' al di là del comprensibile. Riuscivamo però a trasferirle sul palcoscenico del cabaret, in modo che arrivassero anche al pubblico.

Enzo Jannacci che cosa ha rappresentato per te e per Renato?

È stato il nostro fratello maggiore, produttore discografico, l'autore delle musiche e delle nostre canzoni. . Eravamo un trio negli spettacoli, sia teatrali che cabarettistici. Eravamo sempre insieme. Per 10 anni non ci siamo mai mollati, in tutte le situazioni, private e professionali.

"Canzone intelligente", "La gallina", "E la vita, la vita", sono da considerare successi musicali o successi che completano e fanno parte della vostra comicità?

Diciamo che le due cose si intersecano. I testi delle nostre canzoni avevano sempre un risvolto che riguardava il nostro modo di esprimerci. Quindi, le canzoni erano un po’ a sintesi del nostro modo di fare cabaret, di fare spettacolo.

Nel 1975, il duo Cochi e Renato si scioglie e ognuno segue la propria strada. A che cosa fu dovuta questa decisione?

Dopo Canzonissima del 1974, in cui avevamo avuto anche un grande successo discografico, ci offrirono di fare la coppia cinematografica, cosa che non volevamo assolutamente fare. Non volevamo fare, con tutto il rispetto, Ciccio e Franco (Ingrassia e Franchi ndr). Volevamo percorrere le nostre strade cinematografiche separate. Io, contemporaneamente alla scelta di Renato di fare il primo film "Per amare Ofelia", fui contattato da Lattuada per il film "Cuore di cane". Quindi, la nostra, è stata una separazione morbida. Sia io che Renato, in contemporanea, eravamo alle prese con un fenomeno che non avevamo mai affrontato: il cinema.

Renato ha detto di voi due e della vostra comicità: "Ci capivamo, ci intendevamo, ci facevano ridere le stesse cose sin da quando eravamo bambini. Ascoltavamo le canzoni popolari e di protesta. La nostra comicità viene da un destino che ci ha legati prima che nascessimo"

Penso che Renato abbia ragione a dire ciò, perché i nostri genitori, prima che nascessimo, già si conoscevano. Le mie sorelle maggiori e i fratelli maggiori di Renato erano, come si diceva una volta, nella stessa compagnia di amici, quindi, quando siamo nati noi, inevitabilmente ci siamo ritrovati subito faccia a faccia. È stato un percorso assolutamente naturale.

Dopo il 2000, sei tornato in coppia con Renato in TV e in teatro. Come giudichi questo ritorno?

È stato molto piacevole. Quando Renato mi ha chiamato in TV per "Nebbia in Val Padana", ho subito accettato con piacere e con la felicità di tornare a lavorare con lui. Alla fine di questa serie televisiva, abbiamo pensato entrambi di riproporci in teatro, facendo le cose del cabaret. Non pensavamo, però, che, dopo il nostro debutto al Teatro Nazionale con il tutto esaurito (2000 persone, ndr), per due mesi facessimo altrettanto anche negli altri teatri. Dopodiché abbiamo pensato di fare, ogni anno, una tournée di tre mesi, riproponendo le nostre canzoni e i nostri sketch. Per 14 anni, quindi, abbiamo continuato, non più giovanotti, a ripresentarci. Il linguaggio, però, era lo stesso di un tempo. Eppure abbiamo avuto il riscontro che ancora interessavamo. È stata una bellissima esperienza.

A Milano esistono ancora i luoghi della comicità, locali che sono stati vere e proprie fucine di talenti?

Diciamo che la situazione è un po’ cambiata, ma ci sono sempre locali così: lo Zelig, lo Spirit de Milan e altri. Ci sono, poi, fenomeni che vanno al  passo con i tempi. Diciamo che la possibilità di esibirsi, da parte dei giovani comici, c’è sempre.

Sei nato e vivi a Milano, a differenza di Renato che vive sul Lago Maggiore. Ma ti piace la Milano di oggi? E se sì, perché?

Mi piace la Milano di oggi, perché, pur arrancando, è l’unica città che resta al passo coi tempi; parlando di mettopoli, Milano rappresenta quella che potrebbe essere, in futuro, una metropoli europea.  Già ora, è la città più europea d’Italia .

È una Milano multietnica. Ti ci trovi bene? E che cosa manca?

Io vivo in un quartiere multietnico, Dergano. Peruviani, cinesi, magrebini, tutti hanno la loro attività e vivono tranquillamente, senza alcun problema. Le differenze etniche, quando c’è un clima sociale tranquillo, si annullano, si appianano. A Milano manca un po' la visione per un futuro che sta arrivando, se non è già arrivato. Non ci siamo abbastanza attrezzati, soprattutto noi, della nostra generazione un po' …rugosa, ecco. Però lo spauracchio di Milano-Cortina 2026 ci sta dando sprone e speranza.

Hai dei rimpianti, relativamente alla tua vita, professionale e non?

No. Veramente posso dire che sono stato fortunato e ho sempre fatto ciò che mi piaceva. Se devo dire che mi è mancato qualcosa, direi l'affetto dei miei genitori. Mio padre, ad esempio, che è scomparso quando avevo solo 19 anni.

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